Quarantaquattresimo giorno del Giro del Mondo in 80 giorni e sbarchiamo nel mezzo dell’Oceano Pacifico, in una delle isole più remote e misteriose del mondo, a 3600 km dalla costa cilena: l’Isola di Pasqua. Quest’isola vulcanica è caratterizzata da fianchi ripidi che si immergono in mare con vertiginose scogliere, nate dall’attività dei tre vulcani, fautori anche delle numerose grotte che caratterizzano l’isola, veri e propri tunnel di lava utilizzati dagli indigeni come luoghi di culto e di sepoltura (dipinti con pitture rituali). Nonostante l’affinità geografica con le Isole Galapagos, l’isolamento rispetto alla civiltà e al continente non ha favorito, in questo caso, lo sviluppo di una certa biodiversità faunistica e floreale. Molte specie animali originarie si sono estinte con l’insediamento umano, eccezion fatta per quei mammiferi introdotti per l’allevamento (bovini, ovini e suini). Stessa sorte è valsa alla flora locale: a parte le piante importate dall’uomo, l’isola presenta, infatti, solo una quarantina di specie native. Attualmente l’isola è coperta da praterie, arbusti, eucalipti e poche altre specie: la progressiva deforestazione attuata dalla popolazione locale a partire dall’XI secolo ha provocato l’estinzione di alcune tipologie di piante o una sopravvivenza limitata, senonché la desertificazione di ampie aree. Fu questa la principale causa del declino della civiltà locale, segnata da un inevitabile decremento demografico. La più famosa testimonianza lasciata da questa popolazione sono le notissime statue-monoliti Moai, grandi busti scolpiti eretti in fronte al mare, probabili rappresentazioni di antichi capi tribù deceduti. Si tratta di decine e decine di grandi volti stereotipati, dai tratti decisi: alcuni conservano tracce di colore, segno che un tempo tutte le sculture dovevano essere colorate. Non è stato ancora ufficialmente chiarito perchè questi grandi monoliti venissero scolpiti ed eretti: ciò che è stato però appurato, è che per la produzione degli stessi venissero abbattute la maggior parte delle palme dell’isola, utili soprattutto al trasporto dei blocchi dalla montagna (dove venivano scolpiti) alla zona costiera. Il disboscamento e l’aumento demografico innescarono un processo involutivo: tensioni interne, guerre civili e impoverimento del territorio (desertificazione) provocarono una brusca diminuzione della popolazione, parte della quale decise di emigrare. Questo cambiamento segnò l’interruzione della produzione di Moai, a favore di un nuovo rituale legato alla venerazione dell’Uomo Uccello. Abbandonata attorno al XVI secolo, l’isola fu riscoperta dagli europei tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, nel pieno della colonizzazione spagnola. Tutta l’isola è tempestata di siti archeologici e lascia solo l’imbarazzo della scelta [4]: non mancano certo le occasioni per conoscere al meglio la cultura Rapa-nui, godendosi il suggestivo matrimonio tra questi imponenti volti che scrutano il mare e il paesaggio dell’isola.
Tarcisio Agliardi e Federica Gennari