JACK RUBY, L’ASSASSINO DI UN ASSASSINO

Jack Ruby (Chicago, il 25 marzo 1911 – Dallas, 3 gennaio 1967), di famiglia polacca, di origine ebraiche, non proprio benestante è il giustiziere di Lee Harvey Oswald, l’assassino del Preseidente John Fitzgerald Kennedy. Il padre Joseph Rubenstein, di professione carpentiere, era un emigrato polacco nato a Sokolov (nel 1871), trasferitosi negli U.S.A. nel 1903; la madre Fanny era nata a Varsavia (nel 1875) e avrebbe raggiunto il marito negli U.S.A. nel 1904.

Jack Ruby assassinò Lee Harvey Oswald il 24 novembre del 1963 nei sotterranei della Polizia di Dallas. Due giorni dopo che quest’ultimo era stato arrestato con l’accusa di aver sparato e assassinato il Presidente americano John Fitzgerald Kennedy.
La indole di Ruby era quella di una persona impulsiva e manesca. La sua vita cambia il 22 novembre del 1963, il giorno dell’assassinio del presidente. Ruby è nella redazione del Dallas Morning News, sta dettando una pubblicità per il suo locale quando la notizia dell’uccisione di Kennedy piomba come un fulmine nella stanza. Jack rimane sconvolto e decide di non aprire il locale quella sera.
Due sorelle di Ruby hanno spesso ricordato la sua angoscia per l’uccisione di JFK: Ruby straparla, piange, maledice Oswald e glorifica il presidente e la povera moglie Jacqueline Kennedy; ricorda l’annuncio letto sul quotidiano Dallas Morning News, che insultava pesantemente JFK, e teme che la colpa dell’omicidio venga fatta ricadere sugli ebrei. Va quindi alla stazione di polizia, si intrufola tra i giornalisti.
Non ha alcuna ragione per stare lì, tra reporter e cameraman, ma tutti i poliziotti lo conoscevano bene, ma il caos in Centrale era giunto a livelli inimmaginabili. Ruby è libero di girovagare per gli uffici senza essere fermato, come decine di altre persone.
Lee Oswald doveva essere trasferito nel carcere della Contea, ma la burocrazia aveva ritardato il suo trasferimento in prigione. Ruby si avvicina ed entra nel sotterraneo. Oswald, scortato, gli passa proprio davanti, alle 11 e 21 minuti. Ruby tira fuori la pistola, che portava spesso con sé, e gli spara un solo colpo all’addome, fatale, dicendogli: “Hai ucciso il Presidente, topo di fogna!”.
Immediatamente arrestato, dice di essere sicuro di essere prosciolto. Il processo, però, non va per il verso giusto dal suo punto di vista: dall’imputazione per omicidio non premeditato si arriva a una sentenza di condanna a morte perché il suo avvocato tenta di farlo passare per un pazzo. La condanna viene poi tramutata in ergastolo e Ruby trascorre in carcere gli ultimi tre anni di vita.

La sua vita è stato consumato sulla strada, e abbandona la città natale in gioventù per girovagare in cerca di un po’ di fortuna nelle metropoli di Los Angeles e San Francisco. Inizialmente si arrangia con piccoli lavori sempre precari, poi organizza bische clandestine e si occupa di bagarinaggio durante le manifestazioni sportive.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale Jack Ruby ha più di trent’anni e vive ancora senza un vero e proprio mestiere: grazie all’aiuto della sorella Eva apre un locale notturno a Dallas. Il locale è frequentato da gente malfamata, mafiosi e da numerosi poliziotti di città, a cui Jack Ruby offre ingressi, riserva tavoli e serve alcolici. Convinto di essere un brillante imprenditore, il tentativo di Ruby è quello di crearsi una rete di conoscenze influenti.
La vita di Jack Ruby è stata raccontata in diversi film e serie tv, tra i più noti ricordiamo “JFK – Un caso ancora aperto” (1991, di Oliver Stone, con Brian Doyle-Murray nel ruolo di Jack Ruby) e “Ruby: Il terzo uomo a Dallas” (1992, di John Mackenzie, con Danny Aiello nel ruolo di Jack Ruby).

Andrea Carraro