HACKERT JAKOB PHILIPP, DI VITTORIO SGARBI

Se c’è un artista tedesco che ha fatto dell’Italia la sua terra, questi non è Goethe, Durer o Mengs, ma il vedutista settecentesco Jakob Philipp Hackert (Prenzlau, 15 settembre 1737 – San Pietro di Careggi, 28 aprile 1807). 

Giunge per la prima volta in Italia nel 1768. A Careggi (Firenze), dopo i fasti conosciuti soprattutto a Roma e a Napoli, Hackert attende la fine dei suoi giorni. Tra le sue opere più note, vanno ricordate le Cascate di Tivoli, lodate con enfasi da Goethe, le Battute di caccia a Persano, le Esercitazioni a Gaeta, eseguite per il suo mecenate Ferdinando IV di Borbone, le innumerevoli vedute romane e napoletane, il Ritratto di gruppo a Persano (Roma, Accademia Britannica), che sostituisce il nobile pennello classicista di Tischbein. Le cose più felici risultano sicuramente quelle a formato ridotto (i bellissimi acquerelli, i guazzi, le tempere su carta), per le quali il ruinismo archeologico e l’intero sentimento della natura di Hackert sembrano avvicinarsi alle suggestioni pre-romantiche di un altro paesaggista di un diverso periodo, il francese Hubert Robert. La fama di Hackert fu straordinaria in tutta Europa, dalle coste di Francia a quelle di Russia, anche per la grande diffusione che ebbero le stampe tratte dalle sue ideazioni. Albert Christoph Dies, Jacob Wilhelm Mechau, Johann Christian Reinhart e Wilhelm Friedrich Gmelin si dilettarono in un’intensa, appassionata opera di diffusione dell’arte di Hackert. Né mancarono, certo, tra gli italiani, gli epigoni di Hackert. A Napoli, la notevole attività del tedesco creò le premesse più favorevoli per lo sviluppo, sulle orme di Anton Sminck van Pitloo, della futura “Scuola di Posillipo”. A Roma furono, invece, Carlo Labruzzi e Marianna Dionigi a raccogliere il discorso artistico di Hackert, creando un filone artistico di grande successo, che apre la strada al vedutismo ottocentesco.

Vittorio Sgarbi