FILIPPO DE PISIS, DI VITTORIO SGARBI

Luigi Filippo Tibertelli de Pisis (Ferrara, 11 maggio 1896 – Brugherio, 2 aprile 1956) è certo il più poeta dei pittori; ovunque il suo sguardo si posi, su un muro, su un fiore, su una conchiglia, su un efebico corpo di ragazzo, la materia si anima, la carne vibra, i petali ondeggiano, un’ebbrezza, un’euforia attraversa l’aria. Se mai vi fu una leggerezza, se mai soavità, è questa, qui e ora, in una continua concorrenza con la mobilità e varietà della vita, in un continuo allontanamento dal pensiero della morte. De Pisis è un fuggitivo. Coltiva i miracolosi equilibri che impediscono le soste in cui il pensiero si concentra sul nostro destino estremo, sulla vanità delle cose. Certe emozioni descritte da De Pisis, nelle sue pagine letterarie, restituiscono questa condizione psicologica. De Pisis è essenzialmente un trasgressore nella vita d’artista e in quella privata, ma la sua trasgressione si fa sempre suprema armonia, musica di colori. È forse una vibrazione erotica che rende così vive e febbrili le immagini di De Pisis; certo, benché di specie diversa, una sensazione analoga la comunica soltanto la pittura di Pierre Bonnard. Per De Pisis si tratta di rendere la tela sensibile, contemporaneamente, alla continua mutevolezza dell’atmosfera e degli stati interiori. Nei paesaggi di De Pisis tutto vibra; l’equilibrio degli elementi disparati che compongono il quadro è instabilissimo. Tale è la sensazione che comunica la pittura di De Pisis. Le brezze leggere di un’aria libera che soffia sulle cose quasi senza artificio, come se la pittura dovesse trasmettere gli umori della natura, i suoi sapori, i suoi odori, e non le sue filtrate e candite immagini, passano attraverso le nature morte, dal segno libero e vibrante, che si piegano a malincuore alla necessità di esprimersi entro un genere. Da un momento all’altro l’ebbrezza può finire: intanto miracolosamente c’è. Tale è l’amore in De Pisis per la pittura, che qualunque altra tentazione, impegno o ideologia sfuggono dal suo orizzonte. Poesia muta, come nessuna, la pittura di De Pisis respira, palpita, vibra. Tutta la mutevolezza dei cieli e delle acque veneziane, come già in Francesco Guardi, s’imprime nelle tele di De Pisis, anche quando altro è il mare, altro è il cielo, altre le case. Ma quella è la vita, quella e non altra.
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Vittorio Sgarbi