PABLO NERUDA E IL CASO IRRISOLTO

Succede che mi stanco di essere uomo. Non sono parole partorite dalla mia bocca, eppure non posso negare di averle pensate, a volte. È successo persino stamattina, quando mi sono ritrovato dinnanzi una lettera lapidaria: il mittente è un insegnante, la Turchia è la provenienza. Così recitava la lettera: « Quattro giorni fa un gruppo di persone non appartenenti a nessuna specifica organizzazione o ideologia si sono ritrovate nel parco Gezi di Istanbul. Il loro obiettivo era semplice: evitare la demolizione del parco per la costruzione di un altro centro commerciale nel centro della città. »
I mass media tacciono o filtrano – per ovvie ragioni – l’informazione pubblica, e mentre il premier della Turchia, Tayyip Erdogan, parla di gruppi di anarchici, difendendosi da chi lo accusa di dittatura, io osservo delle immagini passate da un un servizio televisivo: un popolo che marcia, pacifico, con il pugno in alto, così come si faceva un tempo quando la gente scendeva per strada a reclamare un diritto o a chiedere all’alto – non all’alto dei cieli – di esser ascoltata. Anarchici? No. Persone e cittadini, giovani che sorridono, famiglie che avanzano con passo sicuro; mi ricordano “La libertà che guida il popolo” di Delacroix. Non vi sono armi né violenza. Soltanto voci, gambe e piedi uniti in un passo solo che guarda al presente e riflette sul futuro: “cos’altro ci toglieranno?”
La storia dell’uomo si ripete convulsiva come un giro di giostra spesso nauseante, e torna e ritorna su sé stessa a mordersi la coda.
“Succede che mi stanco di essere uomo”, affermava in “Walking around” Ricardo Neftalì Reyes, in arte Pablo Neruda (Parral, 12 luglio 1904 – Santiago del Cile, 23 settembre 1973)
. Perché Neruda, poeta cileno, per strada aveva dato alla luce la sua poesia più profonda e più viscerale, più matura, quella che non ritroviamo dentro i baci perugina, confezionati per lasciarci in bocca il sapore dolce dell’amore. Dopo i “Venti poemas de amor y una canción desesperada” che avevano conferito al poeta sudamericano il successo, Pablo aveva preso la sua “Residenza sulla terra”, redigendo tre raccolte di poesia sotto questo stesso titolo.
L’input della svolta stilistica e tematica era provenuto dai lunghi viaggi in veste di console ma soprattutto dall’esperienza spagnola del Neruda, dal suo contatto con la Madrid della splendida generazione poetica del gruppo del ’27. Così il poeta cileno nel 1935 approdava all’università della capitale di Spagna, laddove ad attenderlo vi sarebbe stata un’indimenticabile presentazione scritta dall’amico García Lorca, che Neruda aveva conosciuto a Buenos Aires due anni prima: « E vi dico che vi disponiate a sentire un autentico poeta, di quelli che hanno i sensi ammaestrati per un mondo che non è il nostro e che pochi percepiscono. Un poeta più vicino alla morte che alla filosofia, più vicino al dolore che all’intelligenza, più vicino al sangue che all’inchiostro.»
Il contatto con la viva realtà artistica e culturale della Spagna aveva sicuramente apportato nuove influenze nella poesia del cileno ma il fattore determinante della sua nuova visione della vita, nuda e cruda, era stata l’esperienza della Guerra civile spagnola.
Il generale Francisco Franco salì al potere nel 1936, dando il via ad una sanguinosa guerra civile che si sarebbe conclusa appena tra anni dopo, con la sua vittoria ufficiale e l’instaurazione di una feroce dittatura. La Spagna era distrutta, ridotta al lastrico, piegata al potere di un uomo impegnato nella repressione di ogni forma di anarchia o di sovversione. O con lui o senza di lui: morti.
Tantissimi furono gli intellettuali esiliati. Molti di questi erano amici del Neruda, erano quei poeti con il quale Pablo aveva passato le sue ore felici nella capitale spagnola, nel suo appartamento da lui ribattezzato come la “Casa de las flores” di cui ci racconta in “ Spiego alcune cose”, poesia appartenente all’ultima sezione della terza “ Residenza sulla terra”, intitolata “ La Spagna nel cuore”:

La mia casa era detta
la casa dei fiori, perchè dappertutto
scoppiavano gerani: era
una bella casa
piena di cani e di bambini.

Ma l’armonia di quella stessa casa sarebbe stata presto interrotta dall’arrivo dei militari franchisti:

E una mattina tutto prese fuoco
e una mattina roghi
uscirono dal suolo
a divorare persone,
e da quel momento incendi,
spari da quel momento,
da quel momento sangue.

Eppure la tragedia non lascia spazio ad una desolata sconfitta né si ripiega su stessa piangendosi addosso; le prime vittime della guerra sono, in questa poesia, i bambini, la cui innocenza si fa simbolo di tutta una nazione, il cui sangue sparso attende d’esser vendicato:

Generali,
traditori:
guardate la mia casa smorta,
guardate la Spagna a pezzi:
ma da ogni casa morta esce metallo ardente
e non fiori,
ma da ogni squarcio della Spagna
esce la Spagna,

ma da ogni bambino morto esce un fucile con occhi,
ma da ogni delitto nascono proiettili
che scoveranno un giorno
la tana del vostro cuore.

La poesia si conclude con l’immagine macabra del sangue sparso per strada, in un invito angosciante ed insistente a vederlo: “ Venite a vedere il sangue per le strade!”
Già nella sopracitata “Walking around”, anteriore a “La Spagna nel cuore”, Neruda opponeva alla sua stanchezza “ di esser uomo” – una stanchezza metafisica – lo slancio di colui il quale vuole redimersi da una condizione umana disintegrata:

 

Non voglio più essere radice nelle tenebre,
barcollante, con brividi di sonno, proteso
all’ingiù, nelle fradicie argille della terra […]

 

Di fronte ad una tale disfatta quale la Guerra civile, catastrofe storica che vede sfaldarsi la dignità dell’uomo, al poeta non resta che “osservare” i fatti con gli occhi degli oggetti che gli parlano, dando voce ad immagini frammentate, rotte, affidandosi alle “associazioni per immagini” tipiche del surrealismo di avanguardia, ma soprattutto, limitandosi ad annotare – quasi da cronista – la realtà oggettiva dei fatti, spogliandola di ogni abbellimento poetico. Una poesia, per l’appunto, scritta col sangue più che con l’inchiostro, poiché è sangue quello che il poeta osserva con i suoi occhi. Neruda, allora, abbandona i versi del “diletto” per gettarsi a capofitto nelle lunghissime strofe intrise di ripetizioni e ridondanze – quasi ossessive – delle tre “ Residenze sulla terra”, scegliendo di seguire un percorso di scrittura del tutto autonomo, all’insegna del “feísmo” spagnolo, del “brutto” artistico; di lì tutte le immagini che ne popolano i versi: cimiteri, defunti, morti, buio, sofferenza, strade, separazioni, acque putride, ossa, lacrime, etc. 
Non vi è amore in questi versi composti da uno dei poeti che deve la sua fama alla poesia d’amore. Persino il sesso, da lui celebrato in altri scritti con la luminosità di un inno alla vita, in “Residenza sulla terra” assume un colore negativo sulla scia dell’intera raccolta. Un esempio è “Acqua sessuale”, in cui lo sperma viene visto come qualcosa di sporco, di contaminato, poiché da esso nascono gli uomini, portatori di male:

E per quanto io chiuda gli occhi e mi copra il cuore
interamente,
vedo cadere un’acqua sorda
a goccioloni sordi.
È un uragano di gelatina,
uno scroscio di sperma e di meduse […]

Francisco Franco morirà all’età di 82 anni, nel 1975, e con essa si chiuderà la pagina più nera della storia di Spagna, di una nazione che mai riuscirà a togliersi di dosso la memoria del regime dittatoriale. Pablo Neruda si spegnerà due anni prima in una clinica di Santa Maria a Santiago, a causa di un cancro alla prostata.
Queste sono le fonti ufficiali sulla sua morte. Eppure il Tribunale cileno, nel 2013, dà il via a delle indagini riesumandone la salma col fine di far chiarezza sul reale motivo del decesso.
Sarà l’autista del Neruda a sollevare sospetti: stando alla sua dichiarazione, il poeta sarebbe stato ucciso da un’iniezione letale. L’11 settembre del 1973, infatti, il generale cileno Pinotchet attuava un colpo di stato, facendo cadere il governo Allende, e divenendo, in un primo momento, presidente della Giunta militare. Neruda sarebbe morto il 23 di quello stesso mese. Il poeta, con probabilità, sarebbe stato visto come un personaggio scomodo, considerati i progetti di instaurazione della dittatura.
Tuttavia, le cause del decesso restano ignote e Neruda si porta nella tomba questo e altri misteri (come la scomparsa del corpo dell’amico Federico Garcia Lorca, fucilato a Viznar nel ’36 per mano dei militari franchisti), e sempre nella tomba, il triste destino di un uomo vissuto tra più dittature, di un poeta dall’animo grande i cui occhi avevano visto scorrere troppo sangue, sangue innocente, il sangue dei bambini.

Benedetto Galifi