GIOVANNI MENEGALDO, DI VITTORIO SGARBI

Giovanni Menegaldo (1927-2009), Tecnico del mestiere pittorico, Giovanni Menegaldo ricerca l’origine della forma artistica in ardite, sofisticate, virtuosistiche opere di varia materia. Menegaldo riunisce sapientemente tutti gli ingredienti della sua intellettualità artistica, li mescola fino al limite della riconoscibilità, nel tentativo di ottenere il massimo della semplicità artistica nel massimo dell’artificiosità. Menegaldo vuole trovare la soluzione globale, la possibilità di risolvere ogni contraddizione; inventare una nuova materia artistica che esprima e cancelli ogni distinzione tra pittura e scultura, natura e individuo, astrazione e figurazione, teoria e pratica, spirito e forma. Il risultato, dopo un lungo periodo sperimentale, è la comparsa di una sostanza mai vista prima, preziosa nelle sue improbabili screziature marmorine, “pietra che parla” della propria storia – come sarebbe piaciuto a Roger Caillois – attraverso l’irriducibile complessità strutturale della sua forma. È questa la scoperta che dà all’artista un posto insostituibile nella storia delle nostre conoscenze, il campo della reinvenzione fantastica della natura che da sempre accompagna le vicende culturali dell’homo sapiens. “Credo solo a ciò che vedo”, dice un vecchio e sensatissimo proverbio popolare. Se è così, l’opera di Menegaldo assolutamente esiste. Esiste perché è materia solida, consistente e tangibile; è una sostanza indubbiamente speciale, ai limiti della concepibilità terrena, allo stesso tempo solida e liquida. È come se il suo magma, caotico e variopinto, alternasse in maniera continua e imprevedibile la stasi al movimento, anche permettendosi pause lunghissime, talvolta persino secolari; non si ha mai la certezza che ciò che vediamo sia immutabile, che non ricominci improvvisamente la sua attività lavica, per debordare lentamente dai contorni come un fiume in piena. Per questo motivo suscita una spontanea apprensione e suggerisce qualche prudenza precauzionale: meglio non mettere un quadro di Menegaldo in camera da letto, potrebbe riattivarsi d’improvviso! Al contrario, qualche studioso ha convincentemente ipotizzato effetti terapeutici, verificabili senza troppo sforzo, anche allo stato “di ferma”. Ognuno di noi può accorgersi benissimo di quanto sia difficile, quasi impossibile, rimanere indifferenti a Menegaldo. Ci si sente quasi sull’orlo di un precipizio del quale non vediamo il fondo, avvertendo il senso di un’eccitante vertigine, di una forza ipnotica che ci vuole trascinare. È lì, in quei quadri, il caos dal quale tutto ha origine, nel quale tutto tornerà; è lì il caos del nostro inconscio, la porzione di caos originario che ci portiamo dentro e con il quale stabiliamo una convivenza conflittuale, sempre pronti a privilegiare la legge della ragione sull’irrazionalità istintuale. È lì il caos, spaventoso nella sua potenza devastante, capace di riportarci improvvisamente sotto il suo totale dominio; eppure è un caos che non minaccia, non allerta, non ci fa paura. Al contrario, è una visione che riesce a rasserenare, a illudere di poterci conciliare con l’eterno inconciliabile. È il mostro delle “eterne forze universali” (Munch) che ha forgiato il patrimonio genetico di ciascuno di noi, l’angolo buio all’origine di ogni nostra luce. È il mostro, sconosciuto e inutilmente rinnegato, che in fondo c’è padre.

Vittorio Sgarbi