L’ABIURA DI GALILEO GALILEI

Il processo di Galileo Galilei iniziò il 12 aprile del 1633, nella quale Galileo fu accusato dall’inquisitore domenicano, Vincenzo Maculano, di non avere obbedito al “precetto” con il quale il cardinale Bellarmino gli avrebbe intimato di abbandonare la teoria copernicana, di non sostenerla in nessun modo e di non insegnarla.
Quel precetto, se mai fu effettivamente mostrato a Galileo e se non si tratti persino di un falso costruito ad arte, non aveva nessuna firma, né del Bellarmino, né dei testimoni, né di Galileo stesso. Galileo aveva ricevuto la nota lettera del Bellarmino nella quale “si contiene che la dottrina attribuita al Copernico, che la terra si muova intorno al sole e che il sole stia nel centro del mondo senza muoversi da oriente ad occidente, sia contraria alle Sacre Scritture, e però non si possa difendere né tenere”. La lettera non esprime esplicitamente il divieto di insegnare la dottrina copernicana.
Nell’interrogatorio Galileo Galileo negò di averne preso conoscenza del precetto e sostenne di non ricordare che nella dichiarazione del Bellarmino vi fossero le parole “quovis modo – in qualsiasi modo” e “nec docere – non insegnare”. Concluso il primo interrogatorio: Galileo fu tenuto sotto strettissima sorveglianza, in tre stanze del palazzo dell’Inquisizione, con ampia e libera facoltà di passeggiare.
– Il 21 aprile, la Congregazione del Santo Uffizio sentenziò che nel Dialogo di Galileo è “dannata dalla Chiesa”.
– Il 30 aprile, Galileo dichiarò di aver riletto in quei giorni il suo Dialogo, quasi come scrittura nova e di altro autore, ammettendo che un lettore che non conoscesse intimamente l’autore avrebbe avuto l’impressione che egli avesse voluto avvalorare la teoria copernicana. Si scusò con l’inquisitore per lo scritto e si offrì di riconsiderare gli argomenti.

– Il 10 maggio, Galileo spiegò che nella lettera del Bellarmino non era prescritto il divieto di insegnare la dottrina copernicana, e si dichiarò nuovamente pronto a correggere il suo libro.
– Il 16 giugno, la Congregazione stabilì che Galileo fosse interrogato sulla sua intenzione, anche comminandogli la tortura e se l’avesse sostenuta, previa abiura de vehementi di fronte alla Congregazione, fosse condannato al carcere ad arbitrio della Santa Congregazione, con l’ingiunzione di non trattare più, né per scritto né a parole, sulla mobilità della Terra e sull’immobilità del Sole».
– Il 21 giugno, Galileo fu interrogato per l’ultima volta: alla domanda se tenesse ancora, o avesse tenuto in passato, e per quanto tempo, la teoria della centralità del Sole, Galilei rispose che un tempo aveva ritenuto le opinioni di Tolomeo e di Copernico entrambe disputabili, perché o l’una o l’altra poteva esser vera in natura, ma dopo la proibizione del 1616, sostenne di tenere, da allora e tuttora, «per verissima e indubitata l’opinione di Tolomeo». Alla domanda, perché mai avesse allora difeso l’opinione di Copernico nel suo Dialogo, Galileo rispose di aver voluto soltanto spiegare le ragioni delle due opinioni, convinto che nessuna avesse forza dimostrativa, così che «per procedere con sicurezza si dovessere ricorrere alla determinazione di più sublimi dottrine.
– Il 22 giugno, il giorno dopo, Galileo Galilei è costretto all’abiura. Nella sala capitolare del convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva, presente e inginocchiato Galileo, fu emessa la sentenza dai cardinali Gaspare Borgia, Felice Centini, Guido Bentivoglio, Desiderio Scaglia, Antonio e Francesco Barberini, Laudivio Zacchia, Berlinghiero Gessi, Fabrizio Verospi e Marzio Ginetti, inquisitori generali contro l’eretica pravità, nella quale si riassumeva la lunga vicenda del contrasto fra Galileo e la dottrina della Chiesa, cominciata dal 1615 con lo scritto Delle macchie solari e l’opposizione dei teologi nel 1616 al modello Copernicano. Nella sentenza si sosteneva poi che il documento ricevuto nel febbraio 1616 fosse una effettiva ammonizione a non difendere o insegnare la teoria copernicana.
Essendosi reso pertanto “veementemente sospetto d’eresia”, Galileo era incorso nelle censure e pene previste «contro simili delinquenti”. Galilei venne condannato al carcere formale ad arbitrio nostro e alla pena salutare della recita settimanale dei sette salmi penitenziali per tre anni.

Francesco Murini