ODIO O AMO? CATULLO, DI BENEDETTO GALIFI

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

 

“Ti odio e ti amo. Come possa fare ciò, forse ti chiedi. Non lo so, ma sento che così avviene e me ne tormento” recitano i versi più famosi composti dal poeta latino Gaio Valerio Catullo (Verona, 84 a. C. – Roma, 54, a. C.).

Mi sono ritrovato in prima persona, in questi ultimi due mesi, a riflettere sulla questione che ora dibatteremo, il cui quesito ciascuno di noi si è posto con buona probabilità almeno una volta nella vita: si può odiare qualcuno che si ama? Odiare significa non amare? O è forse sintomo di un amore tanto incontrollabile da sfociare in un sentimento di rancore?
Orbene, poste le nostre domande, tenteremo di dare una o più risposte, consapevoli di una mancata nettezza propria di tutti quei quesiti che riguardano i sentimenti umani. Ognuno ha un suo proprio passato alle spalle e nelle relazioni d’amore ha potuto mettere alla prova sé stesso, conoscendosi: l’amore fa sempre da specchio, non di rado riflettendo ciò che di noi sfugge alla nostra stessa vista. Io per primo, ad esempio, ho potuto tirar fuori la parte migliore – e ahimè la peggiore – le volte in cui ho veramente amato qualcuno: tra i miei lati peggiori venuti a galla, una volta innamorato, per l’appunto, l’odio. Un odio profondo, e a volte apparentemente immotivato e ingestibile, un odio al limite massimo, al confine con la sete di vendetta. Ma se è vero che i sentimenti funzionano “ a catena”, ossia che ad un anello se ne aggiunge un altro e così via, è altrettanto vero che pure l’odio – sentimento mal visto dai più, specialmente dai perbenisti o da quelle persone che non hanno mai avuto il coraggio di viverlo serenamente, così come si fa con l’amore – pure l’odio, dicevamo, affonda le sue radici in qualcos’altro, e quasi mai – se connesso al sentimento amoroso – nasce e si scatena di tutto punto. Senza troppo divagare diremo che anche l’odio ha le sue ragioni.
Vediamo, dunque, di capire prima di tutto in cosa consista l’odio. Wikipedia dice che esso è un sentimento umano che si esprime in una forte avversione o una profonda antipatia. L’odio, però, a differenza dell’antipatia, è mosso dalla forte volontà di distruggere l’oggetto odiato, e dalla percezione della sostanziale “giustizia” di questa distruzione: “lo distruggerò perchè lo merita”, pensa colui che odia, non badando né preoccupandosi delle leggi morali.
Inoltre si può parlare di “oggetto” odiato anche riferendoci agli esseri umani, poiché colui che odia non vede il soggetto odiato come suo simile, alla pari, ma lo percepisce in quanto oggetto.
L’odio, dunque, annebbia la vista di chi lo nutre, e attenendoci alla sola definizione data dalla più famosa enciclopedia online, potremmo altresì marchiarlo come sentimento categoricamente negativo.
Eppure gli studiosi del pensiero e dell’animo umano hanno dato il loro personale contributo sulla problematica dell’odio, ampliandone il dibattito ed offrendoci spiegazioni e motivazioni meno nette di una mera definizione da vocabolario.
Lo psicanalista e sociologo tedesco Erich Fromm, ad esempio, ha individuato due tipologie di odio: uno “reattivo” ed un altro determinato dal carattere. L’odio determinato dal carattere consiste nella predisposizione di una persona ad odiare e ad essere ostile: esso non è generato da una circostanza o da una situazione, ma è peculiarità caratteriale di chi prova tale sentimento, la cui realizzazione soddisfa il soggetto che lo prova.
La situazione cambia, invece, nel caso di chi – come lo stesso Catullo – odia colui che ama o colui per il quale aveva in precedenza provato un profondo amore o continua a provarlo: Fromm dice che quest’odio è sempre il risultato di una profonda ferita o di una situazione dolorosa e immutabile di fronte alla quale ci si sente impotenti.
In un contesto come questo, dunque, potremmo dire che l’odio non sia poi un sentimento così “malvagio”: è una barriera calata da colui che si è sentito ferito e che lo mette in atto per “difendersi” da chi gli ha procurato la ferita, è una reazione come tante al dolore, un meccanismo messo in atto – seppur spesso inconsciamente – per tornare a vivere, cercando di lasciarci alle spalle quanto ci ha fatto star male.
In effetti, se subiamo una profonda delusione d’amore o se siamo stati abbandonati dai nostri partner, potrebbe accadere che ci ritroviamo – una volta presa coscienza dell’irreparabile rifiuto subito e della fine della nostra storia d’amore – ad odiarli, preferendo l’odio al sentimento nostalgico che ci renderebbe ancor più vulnerabili, legati ancora alla persona di cui siamo innamorati, la quale, però, continua a rimanere ferma sulla sua posizione, non mostrando la benchè minima propensione a fare un passo indietro per riaccoglierci.
I puritani, quelli che cercano sempre di frenare le proprie emozioni, quelli abituati a controllarle, coloro i quali ritengono che la facciata sia ciò che più conta nella vita, potranno venire a dirci, a dire a noi – annebbiati dall’odio per chi ci sta facendo stare male – che stiamo sbagliando ad odiare, che l’odio – affermazione banale, seppur in parte fondata – fa male solo a chi lo nutre.
Mi domando, però, perchè queste stesse persone, quando ci vedono innamorati, non vengano a dispensare moniti similari né vengano a dirci che l’amore farà male solo a noi stessi: del resto, l’intensità con cui si ama è la stessa di quella con cui si odia e, come se non bastasse, l’odio non di rado è causato da una ferita inflitta da colui o colei che abbiamo amato.
Non vi sono sentimenti nettamente buoni o categoricamente cattivi: a fare la differenza sono le intenzioni. Anche l’odio ha bisogno, dunque, nel caso in cui sia “reattivo”, di fluire liberamente: giocherà un ruolo fondamentale l’intervento del tempo, che tutto guarisce e che può lenire ogni piaga ed ogni ferita.
Non preoccupiamoci se sia giusto o sbagliato odiare qualcuno, visto che quasi mai ci poniamo questa domanda nel caso in cui il sentimento provato sia l’amore: eppure anche l’amore, come l’odio, spesso può celare il suo lato oscuro, quello di una delusione imminente o di un abbandono crudele.
È lecito, dunque, in questi casi odiare. Imperdonabile è il giudizio azzardato ed esteriore di coloro i quali osservano dal di fuori le circostanze e con fin troppa facilità vengono a dirci che l’odio è brutto e cattivo, e che ci farà star male: potremmo rispondere a questi saggi che l’amore lo è altrettanto.
Odiare e amare è possibile, così come è possibile dare una spiegazione alla coesistenza dei due sentimenti in uno stesso soggetto: gli studi scientifici degli ultimi secoli, per nostra fortuna, hanno fatto luce su tanti di quegli aspetti a cui gli uomini antichi, seppur saggi – come lo stesso Catullo – non riuscivano a dare una risposta. Eppure il fatto che il poeta latino provasse odio e amore al contempo e che questo status sentimentale lo tormentasse dava già una risposta piuttosto immediata su come fosse possibile odiare a amare allo stesso tempo: l’odio e l’amore, come già detto, sono sentimenti vissuti con la stessa intensità, conseguenziali. Non beviamo la storia di chi viene a dirci che non vi è amore quando si odia: forse ve ne è pure troppo, e un amore deluso e amareggiato ha la piena libertà di reagire come meglio ritenga, pur di salvaguardare la sua propria incolumità.
Alla fine, col tempo, tutto passa e l’odio si disperde come l’amore lasciando spazio all’indifferenza di cui l’odio è nemica. L’indifferenza, che a coloro i quali agiscono eticamente “bene”, mossi da un’ impeccabile “correttezza morale”, in verità è uno dei sentimenti più ripugnanti che l’uomo possa provare, peggio ancora dell’odio: essa infatti dice “ per me tu non esisti, non sei mai esistito, equivali al nulla”, mentre l’odio sembra dire “ti odio perchè ti ho amato, ma mi hai fatto del male”.
Signori che tutto sapete della vita, noi vi domandiamo: è meglio odiare o essere indifferenti? O son lecite ambo i sentimenti? A ciascuno la sua risposta, e a Catullo il suo tormento eterno. 


Benedetto Galifi