“La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un’epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile”. (Alberto Moravia)
Nella notte tra il 1º novembre e il 2 novembre 1975 Pier Paolo Pasolini venne ucciso in maniera brutale. Fu percosso e travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia. Il suo corpo privo di vita venne ritrovato da una donna alle 6.30. Fu poi l’amico Ninetto Davoli a riconoscerlo. Ora, Pasolini riposa nel cimitero di Casarsa della Delizia (PN).
L’omicidio fu commesso da Pino Pelosi di Guidonia, di diciassette anni, che si dichiarò subito colpevole. Pelosi confessò di aver incontrato lo scrittore nelle vicinanze della Stazione Termini, e di avere accettato il suo invito a salire sulla sua vettura, un’Alfa Romeo 2000 GT Veloce, per fare un giro insieme. Dopo una cena offerta da Pasolini, i due si sarebbero diretti alla periferia di Ostia. Le pretese sessuali di Pasolini alle quali Pelosi non acconsentiva, li portò a una lite e quindi alla tragedia. Pare che lo scrittore minacciò il giovane con un bastone, che poi il giovane si sarebbe impadronito e usato contro lo stesso Pasolini.
Pelosi venne condannato in primo grado per omicidio volontario in concorso con ignoti e il 4 dicembre del 1976 con la sentenza della Corte d’Appello, pur confermando la condanna dell’unico imputato, riformava parzialmente la sentenza di primo grado escludendo ogni riferimento al concorso di altre persone nell’omicidio di Pasolini.
Pelosi ha mantenuto invariata la sua assunzione di colpevolezza fino al maggio 2005, quando, a sorpresa, nel corso di un’intervista televisiva, affermò di non essere stato l’autore del delitto di Pier Paolo Pasolini, ha dichiarato che l’omicidio sarebbe stato commesso da altre tre persone. Ha fatto i nomi dei suoi complici solo in un’ altra intervista del 12 settembre 2008. Ha aggiunto inoltre di aver nascosto la verità per timore di mettere a rischio l’incolumità della propria famiglia.
Le circostanze della morte di Pasolini non sono a oggi ancora state chiarite. Contraddizioni nelle deposizioni rese dall’omicida, un “chiacchierato” intervento dei servizi segreti durante le indagini e alcuni passaggi a vuoto o poco coerenti riscontrati negli atti processuali, sono fattori che lasciano aperte le porte a più di un dubbio.
Due settimane dopo il delitto apparve un’inchiesta su L’Europeo con un articolo della giornalista Oriana Fallaci, dove si ipotizzava una premeditazione e un concorso di altre due persone. Dieci anni dopo, i mezzi di informazione cominciarono a sostenere l’ipotesi della Oriana Fallaci, dipingendo il Pelosi come “ragazzo di vita”, abitudinario della Stazione Termini, rilevato da Pasolini come esca per un’eventuale azione punitiva sui quali mandanti si immaginano avversari politici o malavitosi, ai quali lo scrittore avrebbe fatto dello sgarbo per dei tentativi altruistici di redimere dalla strada alcuni giovani.
A prescindere dai fatti e dalle reali responsabilità che hanno condotto alla sua morte, la fine di Pasolini sembra essere emblematica, al punto che alcuni hanno paragonato la sua morte a quella di Caravaggio:
“Secondo me c’è una forte affinità fra la fine di Pasolini e la fine di Caravaggio, perché in tutt’e due mi sembra che questa fine sia stata inventata, sceneggiata, diretta e interpretata da loro stessi”. (Federico Zeri)
Nel 1995, venennale del delitto, esce il film Pasolini, un delitto italiano, di Marco Tullio Giordana. Nella storia dove viene riportato l’iter dell’inchiesta che demolisce definitivamente la versione difensiva del Pelosi.
A trent’anni dalla morte, assieme alla ritrattazione del Pelosi emerge la testimonianza di Sergio Citti, amico e collega di Pasolini, su una sparizione di copie dell’ultimo film Salò e su un eventuale incontro con dei malavitosi per trattare la restituzione. Sergio Citti morirà per cause naturali alcune settimane dopo.
Esiste un’altro ipotesi molto più inquietante: il collegamento alla “lotta di potere” che prendeva forma in quegli anni nel settore petrolchimico, tra Eni e Montedison, tra Enrico Mattei e Eugenio Cefis. Pasolini, infatti, si interessò al ruolo svolto da Cefis nella storia e nella politica italiana: facendone uno dei due personaggi “chiave”, assieme a Mattei, di Petrolio, il romanzo-inchiesta, uscito postumo nel 1992, al quale stava lavorando poco prima della morte.
Pasolini ipotizzò, basandosi su varie fonti, che Cefis alias Troya avesse avuto un qualche ruolo nello stragismo italiano legato al petrolio e alle trame internazionali. Secondo autori recenti e secondo alcune ipotesi giudiziarie suffragate da vari elementi, fu proprio per questa indagine che Pasolini fu ucciso. Questi collegano la morte di Pasolini alle sue accuse a importanti politici di governo di collusione con le stragi della strategia della tensione.
Il 1º aprile 2010, l’avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini hanno raccolto la dichiarazione di un nuovo testimone che potrebbe aprire nuove piste investigative.
David Zahedi