Antonio Allegri, meglio conosciuto come Correggio (Correggio, agosto 1489 – Correggio, 5 marzo 1534), rappresenta uno dei più noti e peculiari artisti del Cinquecento italiano, dalla biografia ancora oggi poco chiara.
Formatosi inizialmente in ambito locale, conosce presto la pittura di Andrea Mantegna, dal quale apprende anzitutto la costruzione illusionistica, già riscontrabile nella giovanile decorazione della Cappella funeraria di Andrea Mantegna in Sant’Andrea a Mantova (1506), e la monumentalità delle figure, caratterizzate spesso da una decisa lumeggiatura e da toni cupi d’ispirazione lombarda (Natività, Pinacoteca di Brera, 1512).
Dal 1520 la sua carriera si lega alla città di Parma, dove, nello stesso anno, si dedica alla decorazione della Camera della Badessa presso il Monastero di San Paolo, un’opera che svela attraverso i molteplici dettagli un’approfondita conoscenza della pittura raffaellesca e leonardesca. Qui Correggio, in pieno richiamo mantegnesco, dissimula la volta in un pergolato fiorito entro il quale si aprono scorci di cielo con putti, soprastanti a nicchie a trompe l’oeil di sapore classico.
Il notevole successo derivato da tale incarico, porta Correggio a decorare, tra il 1520 e il 1524, la cupola e parte dell’abside di San Giovanni Evangelista: se da una parte però dell‘Incoronazione della Vergine dell’abside non rimangono che frammenti, dall’altra si possono ammirare tutt’ora l’imponente Visione di San Giovanni della cupola e gli affreschi del tamburo e dei pennacchi, dove la superficie muraria viene ancora una volta idealmente abbattuta con l’illusoria raffigurazione di un cielo sovraccarico, dominato da una corona di Apostoli che, incorniciando la figura centrale di Cristo e stagliandosi su nuvole dai toni piuttosto carichi, danno alla scena un’inconsueta atmosfera sovrannaturale.
Al termine dei lavori in San Giovanni, Correggio si dedica alla cupola della Cattedrale di Parma, dove realizza l’imponente Assunzione della Vergine, una visione celeste dalle tonalità più soffici, rappresentante una moltitudine angelica che, con un lento movimento a spirale, accompagna la gloriosa ascesa della Vergine, immersa nella luce. La simulazione, in questo caso, è resa ancor più credibile dal completo annullamento di ogni interferenza architettonica, tant’è che i reali oculi del tamburo sono accordati in un finto parapetto dipinto che segna il passaggio tra l’architettura basilicale e lo sfondamento illusorio della visione mistica.
Accanto alla produzione ad affresco, si colloca la fruttuosa pittura su pala e su tela che ha reso noto Correggio per la morbidezza dell’incarnato, esaltato dalla delicatezza delle luci e da un colorismo raffinato. Esaminando celebri tele quali l’Adorazione dei pastori o La Notte (Dresda, Gemäldegalerie, 1525-1530) o la Madonna di San Girolamo o Il Giorno (1528, Parma, Galleria Nazionale) si può notare inoltre un attento studio del movimento, inteso soprattutto come strumento di unificazione della scena e legame tra i personaggi, un espediente già sperimentato da Leonardo.
Allontanandosi dalla tematica religiosa, verso il 1531 l’artista realizza una coppia di tele a tema mitologico, su incarico di Isabella d’Este di Mantova: si tratta dell‘Allegoria del Vizio e dell’Allegoria della Virtù (Museo del Louvre, Parigi), due opere che, per il contenuto profano e il raggiunto raffinamento stilistico, si associano alla serie degli Amori di Giove, commissionati da Federico II Gonzaga. Si tratta di opere della piena maturità correggesca che, databili attorno al 1530, traducono con una delicata e serena naturalezza il contenuto mitologico e la tradizione artistica antica. Nonostante il soggetto erotico degli Amori, infatti, le scene sono trattate con grazia e sapienza classica: in Leda e il Cigno (Berlino, Gemäldegalerie) l’episodio è riassunto in tre momenti simultanei e nonostante l’unione fisica avvenga centralmente, sotto gli occhi dello spettatore, l’equilibrio della composizione, le pose naturalmente misurate e i toni caldi della carne, tipici del maturo stile correggesco, rivelano una grande sensibilità classica e conferiscono alla scena un’atmosfera alquanto serena.
Franco Luccarini