Con la prima grande diffusione della fotografia, si affermò una corrente di pensiero, capitanata da Charles Baudelaire, che contestava a questa nuova forma artistica una pedissequa riproduzione del vero, totalmente spogliata di qualsiasi genio artistico. Non si capiva come questa nuova tecnica potesse riscuotere tanto successo, limitandosi ad uno stretto realismo: per tale motivo Baudealire si spinse a definirla, con un certo disprezzo, semplice mezzo di documentazione e di conservazione. Questo aspetto tanto criticato nell’Ottocento, è oggi alla base della fotografia moderna che si dimostra attenta a scovare nel reale una vigorosa espressività.
Questa vena realista emerge prepotente nei reportages di Luciano Perbellini, ma con una lettura tutta sociale: diplomato in scenografia, è stato con lo Studio Brenzoni fotografo ufficiale della Fondazione Arena di Verona e ha collaborato con il giornale L’Arena di Verona, con all’attivo numerose pubblicazioni su riviste nazionali quali D Donna di Repubblica, Rockstar e Vogue Uomo. Attualmente è fotografo ufficiale della Fondazione Teatro Stabile di Verona e dedica gran parte della sua ricerca a reportage di sapore documentario.
La missione del fotografo viene interpretata anzitutto come documentazione indipendente, un’impetuosa esigenza del vero e di testimonianza, rispettosa dei soggetti ritratti e della destinazione d’uso del prodotto fotografico, sempre contestualizzato in esposizioni e in pubblicazioni, al fine di certificare nel modo più onesto possibile la realtà captata.
I reportages di Perbellini toccano luoghi quali l’Uganda, le Filippine, l’Albania e l’Afghanistan, raccontandone l’anima quotidiana e dolorosamente più vera: a queste esperienze si lega il progetto 13 Coins, premiato come miglior libro agli Eurepean Photo Book of the Yeard Award 2010 ed esposto in una mostra a Ginevra, Verona, presso le gallerie fotografiche Fnac e al Pesaro Photo Festival 2011. In questo caso, l’idea torna sulla necessità di raccontare contesti sociali diversi, visti attraverso 13 persone scelte, tra laici e religiosi, che per anni hanno vissuto e lavorato in situazioni e contesti difficili, operando a favore della società, tratteggiandoli in 13 fotografie. Il progetto è stato realizzato in collaborazione con l’assistente e compagna Valeria, la quale, abbandonando una carriera lavorativa alquanto diversa, dal 2007 ha intrapreso la strada del videomaker, affiancando Perbellini nei numerosi progetti documentari.
I reportages portano all’attenzione mondi e società lontani e colgono istanti di vita a volte tragici: ospedali da campo, povertà, armi, lavoro, ma anche volti segnati dal tempo, dal dolore e dalla vita…qualche sorriso infine, nel risveglio della speranza, nel gioco spensierato dei bambini in Albania, in un aquilone abbandonato al vento in Afghanistan. Il bianco e nero, in questo caso, sembra il mezzo ideale per cristallizzare l’essenza fugace di un popolo, di captarne i veri tratti, il vero spirito: “una scelta estetica che aiuta il processo di simbolizzazione”, come la definisce l’artista.
Accanto alla fotografia documentaria, Perbellini affianca un interesse per la fotografia di teatro e di backstage, con la quale si è professionalmente formato. Gli scatti rubati all’Arena e nei backstages degli spettacoli, seppur in un mondo lontano anni luce dai soggetti dei Reportage, denunciano la stessa ricerca in profondità.
Ma in un ambiente per sua natura sospeso tra realtà e finzione, come si può scovarne l’essenza sincera? “Entro in mondi sempre diversi, non interagisco e sono circondato dal silenzio… E devo raccontare ciò che gli altri non possono vedere”. È l’esperienza del backstage che offre il vero volto del teatro: le tensioni, l’attesa, la preparazione, il lavoro duro, il trucco, una ballerina che stende i muscoli prima di un balletto, attori in costume che discutono. È in questi momenti che Perbellini riesce a cogliere e a fissare lo spirito di un microcosmo sospeso tra gli ultimi squarci di realtà e la scena, tra l’aspettativa e l’atto, tra l’attore e il personaggio.