Nacque subito una folgorazione tra noi due. Diventammo subito amici con una fiducia istintivamente. Al nostro primo incontro, mi sembrò un contadino, con una palandrana, con vecchi e consumati pantaloni ascellari che arrivavano alla caviglia, con i calzini bassi, con un cappello deformato in testa. Io stipita, chiesi al mio amato Luigi: “Questo sarebbe Enzo Ferrari?”.
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Fiamma Breschi, una bella donna fiorentina, una donna di una volta con la bellezza e freschezza di oggi, una signora con i capelli con meches, occhialoni, magliettine e jeans a vita bassa, é stata “capace di vestire la Ferrari di Rosso tango, verde germoglio, nero Cina e giallo flame”. Inventò i colori dell’auto più desiderata al mondo.
Enzo Ferrari (Modena, 18 febbraio 1898 – Modena, 14 agosto 1988) le ha chiesto di sposarlo fino all’88, fino all’anno della sua morte. Ma lei non era innamorata di lui: il suo unico amore era morto a Reims, il 6 luglio del 1958; si chiamava Luigi Musso (Roma, 28 luglio 1924 – Reims, 6 luglio 1958).
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Vale la pena di ricordarla in un’intervista del 2009:
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Cosa ha rappresentato per lei Enzo Ferrari?
«E’ stato un grandissimo amico. Un uomo meraviglioso, intuitivo, con un carattere difficile. Ma non come hanno inventato in tv, in quella fiction che non gli ha reso giustizia.
«Credo di essere sempre stata un po’ avanti coi tempi, una cosa che mi è sempre venuta istintiva è stato proprio il look: amo da sempre l’accostamento di colori e capi d’abbigliamento. Vidi Ferrari e pensai subito che doveva cambiare. Era già un personaggio di grande spessore, e presentarsi così non era giusto. Per lui prima di tutto. Ferrari stette al gioco. Si affidò a me e gli inventai quello che poi è diventato il suo modo di vestire. Per esempio, prima indossava solo cravatte bianche e nere. Io da Firenze gli portavo quelle colorate, di Gucci. E allora cambiò idea anche lui. Disse di sì a colorarsi. A mettersi vestiti chiari, camicie bianche, occhiali neri. Su quello che gli consigliavo, lui annuiva, divertito. Anche se fuori dal nostro rapporto di amicizia so bene come si comportava soprattutto con i piloti della sua Squadra Primavera. Li metteva gli uni contro gli altri perché si stimolassero a vicenda, perché scattasse fra loro la competizione. Per questo lo chiamarono “agitatore di cervelli”. Per Ferrari i piloti in un certo senso erano robot che guidavano le sue macchine. E quando gli dicevo qualcosa sul suo modo di fare ruvido mi zittiva: “Mi ritengo peggiore degli altri, ma non so quanti siano migliori di me”».
“Enzo Ferrari era un uomo sopra il naturale: io un’intelligenza così non l’ho mai incontrata. Era un uomo onesto e furbo da morire. Con la vita aveva un rapporto da divoratore e occupava tutto lo spazio delle persone che gli erano intorno, fossero i suoi piloti, i suoi figli o le sue donne. È stato un costruttore di macchine e un distruttore di uomini, ma se entravi nella sua orbita avresti dato qualunque cosa per non uscirne”.
“Tra di noi c’è sempre stato un equivoco di fondo: io volevo un ruolo nel mondo delle auto, lui pensava che mi bastasse vivere nel suo cono di luce. ‘Quando ti ricapita una fortuna del genere?’, mi diceva mia madre. Infatti non è più capitata ma io non ho mai smesso di amare il mio uomo, Luigi Musso, ed è così ancora oggi”.
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Come incontrò Luigi Musso?
«Lo incontraì In un ristorante a Roma: era già sposato. Appena ci guardammo sentii dentro di me che sarebbe stato l’amore della mia vita. Fu uno scandalo a quel tempo, perchè lui lasciò moglie e figlia. Eravamo innamorati persi, non ci importava del mondo. Poi tutto finì all’improvviso a Reims, morì in un incidente nel circuito. Sono passati più di 50 anni dalla sua morte e ancora non c’è attimo della giornata che non pensi a lui».
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E’ stata o no la donna segreta di Enzo Ferrari?
«Tanto segreta no. Compagna sì. Ma non in quel senso. Eravamo amici, era qualcosa di grande ma di platonico. Passavamo anche quattro ore al giorno al telefono. Forse è per questo che è durata tanto tempo la nostra relazione. Già dal 1962 mi voleva sposare, questo è vero, aveva pianificato anche gli assegni».
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Come fu che fra Enzo Ferrari e lei l’amicizia si consolidò?
«Dopo la morte di Luigi si avvicinò a me con parole buone: volevo morire anch’io, inutile nasconderlo. Mi scriveva di andarlo a trovare, mi diceva di mangiare e tenermi su. Di fare lunghe passeggiate nel verde. Mi incoraggiava a vivere».
«Ho le sue lettere che lo testimoniano. Dopo la morte di Musso mi volle a Maranello, senza essere l’amante del capo, come pensavano tutti in quell’italietta provinciale. Avevo una mia classe e una mia cultura, forse Ferrari si sarà innamorato anche di questo. Mi volle per scegliere auto e modelli, colori e piloti. Per la Ferrari ideai il long nose, il muso lungo per esempio o quelle bicolori che oggi sono tornate di gran moda. Lui si fidava e io non sbagliavo. Posso dire, prove alla mano, di aver contribuito alla crescita dello stile della casa di Maranello».
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Qualcosa aveva la sua firma?
«Prima di Vuitton inventai nel ’66, un set di valige per la Ferrari 275, di tela stampata».
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Ferrari a Firenze: da lei c’è mai stato?
«Due volte ed era un’eccezione: tutti sanno che da Maranello non si muoveva. Ma a Firenze veniva a mangiare a casa mia. Nel 1976 fece coniare una coppa a mia madre con il cavallino rampante con scritto: “A Clorinda, la cuoca più brava del mondo”».
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Francesco Veramini