JAGUAR E-TYPE

“L’auto più bella mai costruita” 
(Enzo Ferrari)

Nel 2004 la rivista statunitense Sports Cars International la mise al primo posto tra le Top Sport Cars degli anni sessanta.
Jaguar E-Type, nota come XKE o XK-E, una sportiva prodotta dalla Jaguar tra il 1961 e 1975, fu una vettura rivoluzionaria per la progettazione, le caratteristiche di guida e design del tempo. Grazie anche al rapport qualita/prezzo, nei 14 anni di produzione, arrivarono a vendere 70.000 vetture.
E-Type, disegnata da Malcolm Sayer (Cromer, 1916 – 1970)
, autore anche di precedenti C-Type e D-Type, venne inizialmente concepita come una coupé gran turismo sportivo a due posti. Successivamente, nel 1966, venne realizzata la versione 2+2, con passo allungato.
Venne presentata il 15 marzo 1961 la versione coupé, FHC – Fixed Head Coupé, al Salone dell’automobile di Ginevra e, nell’aprile dello stesso anno,
 la versione roadster, OTS – Open Two Seater, al salone dell’automobile di New York. Questa ultima versione fu realizzata per soddisfare il mercato statunitense. Il modello fu costruito in tre differenti serie, indicate come Series 1, Series 2 e Series 3. 
La Series 1, prodotta dal 1961 al 1969, era dotata di un motore Jaguar da 3.800 litri derivato da quello della XK150, con tre carburatori SU HD8 e con una potenza di 265 CV, con un cambio meccanico a quattro marce MOSS, con prima non sincronizzata. I primi esemplari, realizzati tra il 1961 ed il 1962, furono definiti flat floor perché avevano il pianale piatto in corrispondenza dell’appoggio dei piedi, limitando un po’ lo spazio a disposizione. La versione con il motore da 3,8 litri avevano i sedili di forma arrotondata con il cruscotto in alluminio.
Nel 1965 vennero fatte alcune modifiche: il motore fu portato a 4.200 litri, al retrotreno fu montata una sospensione a ruote indipendenti al posto del tradizionale ponte rigido e il cambio, completamente sincronizzato, era prodotto interamente dalla Jaguar. Era dotato di sedili più confortevoli e sul bagagliaio era scritto “Jaguar 4.2 E Type”, mentre sulla versione precedente era scritto solo Jaguar.
La Series 1 può essere riconosciuta dai alcuni particolari: 

  • la presa d’aria anteriore, la bocca, è di dimensioni ridotte, leggermente più grande sulla versione da 4,2 litri;
  • le luci di segnalazione sono sopra i paraurti;
  • il terminale di scarico doppio è sotto la targa posteriore;
  • i fari anteriori sono dotati di copertura in vetro.

Nel 1967 e 1968 fu realizzata la prima evoluzione, definita “Series 1 1/2”, simili alle E-type Series 1 di serie tranne che per l’assenza della protezione in vetro della fanaleria anteriore e, nell’abitacolo, l’eliminazione dei braccioli alle portiere, con le maniglie d’apertura incassate nel pannello di rivestimento per motivi di sicurezza. Venne adottato un coperchio per il vano portaoggetti della plancia e per i differenti interruttori dei servizi, ora a bilanciere. La meccanica si differenziava per l’adozione di due carburatori Zenith-Stromberg al posto dei tre carburatori SU HD8. Nel 1966 fece la sua comparsa la versione 2+2 del coupé mentre la versione scoperta rimase di due posti.
La Series 2 invece, prodotta dal 1969 al 1970, venne dotata di un impianto frenante più potente, paraurti ingranditi e, per i veicoli destinati al mercato statunitense, una riduzione di potenza. Per una maggior sicurezza vennero poi aggiunti le frecce più grandi e dietro furono adottati i fanalini della Lotus Elan S2.
La Series 3 invece, prodotta dal 1971 al 1975, venne equipaggiata di un nuovo motore V12 da 5.300 litri. L’impianto frenante venne ulteriormente potenziato con il servosterzo di serie. Venne adottato un impianto di scarico con quattro terminali posteriori.
In 14 anni di produzione di Jaguar E-Type vennero costruite alcune versioni speciali in numeri limitati: come la versione “Low Drag Coupé” e la “Lightweight E-Type”:
L’idea della Jaguar per la realizzazione della “Low Drag Coupé” si riassumeva il tentativo di realizzare una vettura che, nello spirito, si avvicinasse alla vettura da corsa D-type da cui la E-type derivava. Venne realizzata una sola vettura in versione coupe, visto che l’esperto di aerodinamica Malcolm Sayer reputava che una vettura coperta era più adatta per un veicolo leggero ed aerodinamico rispetto alle vetture scoperte con le quali la Jaguar gareggiava in quel periodo. A differenza delle versioni di serie, la carrozzeria venne realizzata in alluminio, leggerissimo, costoso e difficile da lavorare. Il telaio rimase in acciaio con il motore da 3,8 litri, con teste dei cilindri speciali, sperimentate nelle gare di Le Mans. La vettura venne completata nell’estate del 1962 ma solo dopo alcuni anni fu venduta al pilota Dick Protheroe, che la utilizzò in molte gare. La vettura attualmente fa parte della collezione privata dell’attuale visconte Comdray.
Mentre la “Lightweight E-Type”, molto ricercata dai collezionisti,
 venne costruita in 12 esemplari su 18 programmati. Dei 12, uno andò distrutto e almeno due trasformati in decappottabile. Nel 2014, in occasione del concorso di bellezza di Pebble Beach, la Jaguar annunciò che i sei esemplari non prodotti negli anni ’60 verranno costruiti entro il 2015. Identici ai modelli originali, ma grazie alle tecniche moderne con un peso inferiore di 114 kg.
Questa vettura era un’evoluzione della Low Drag Coupé, con uso ampio di alluminio nella carrozzeria e in altre componenti, rimanendo comunque sempre una vettura da gran turismo, più che da competizione. Su questa vettura fu montato un motore da 3,8 litri con 300 hp invece di 265 hp della versione di serie. Su almeno una venne montato un sistema di iniezione sviluppato dalla Lucas. La vettura partecipò a diverse gare, ma non portò alla Casa i risultati significativi. 
La E-Type fu scelto come vettura personale di Diabolik e Eva Kant. Inizialmente, negli anni sessanta, la casa britannica diffidò gli autori dal nominare la marca dell’auto in quanto temeva una pubblicità negativa. Successivamente però la stessa Jaguar chiese ad Astorina di inserire delle immagini tratte dal fumetto nel libro che celebrava i cinquant’anni del modello.

Francesco Veramini