Socrate nasce nel 470-469 AC in una famiglia di umili origini, ma era già destinato a far parlare di sé sin da giovane. Di lui si dice che non si mosse mai dalla città perché riteneva di non poter imparare nulla dai sassi e dagli alberi, ma solo dalla frequentazione delle persone.
Socrate e la morale dei giovani
Nel 380 AC viene processato per aver corrotto la morale dei giovani e per essersi etichettato come l’uomo più sapiente della polis. Partiamo dalla prima accusa. Ce la racconta Aristofane ne “Le Nuvole”: qui si racconta di un contadino che si era rivolto a Socrate perché insegnasse al figlio come confondere il prossimo con le parole in modo che potesse sottrarsi alla pressione dei creditori. Socrate ci riuscì, ma con qualche inconveniente. Dopo un po’ il contadino tornò da lui, alquanto contrariato, a pretendere un rimborso: la vita col figlio gli era diventata impossibile perché quest’ultimo aveva imparato a contestare qualsiasi consiglio gli venisse dal padre.
L’uomo più sapiente di Atene, cosi era stato definito Socrate
Quanto alla seconda accusa, ce ne parla Platone ne “l’Apologia”. Qui Socrate avrebbe saputo che l’Oracolo di Delfi, interrogato da un suo amico, l’aveva definito l’uomo più sapiente di Atene. Per questo motivo, spiega Socrate, si era messo a tormentare, come un moscone impazzito, tutti i notabili della città chiedendo loro conto delle conoscenze di cui si facevano portatori: voleva trovare chi fosse davvero il più sapiente ed era sicuro di non essere lui (sapeva di non sapere). Come condusse quest’indagine? Andava a chiedere in giro quale potesse essere una buona definizione di virtù. Lo fece con un sacerdote, con un generale, con un artigiano ma da tutti riceveva solo rispettabili esempi di cosa fosse la virtù, ma non una definizione astratta della medesima.
Era un po’ come chiedere cosa fosse un tavolo: se si diceva che era quell’oggetto di legno scuro con quattro gambe attorno al quale si mettevano delle sedie, si parlava di un tavolo in particolare. La definizione corretta sarebbe stata di un piano sorretto da gambe. Solo cosi si sarebbe espresso un concetto cosi generale da poter essere l’archetipo di tutte le sue manifestazioni reali.
La “virtù” secondo Socrate
Dal suo “sondaggio” che pure infastidì e sminuì diverse persone, Socrate ne ricavò una conclusione: la virtù non era una cosa che si potesse insegnare, ma una sorta di metodo di indagine che portava maieuticamente a ricavare la natura intima delle cose. La virtù quindi consisteva nel “Nosce te ipsum”, conoscere ed indagare in se stessi, eternamente, con un processo in continuo divenire. La conseguenza di questa conclusione fu enorme: se questa era la virtù, era inevitabile che nessuno di coloro che governava in città ne fosse in possesso (visto che non avevano saputo definirla). Per questo motivo la città era retta da incompetenti e non da notabili.
Socrate contro le assemblee popolari
Socrate si scagliò, per par condicio, anche contro le assemblee popolari sulle quali si reggeva il governo di Atene: a suo dire erano piene di artigiani e ciabattini che pensavano a come portare a casa il pane e non a cosa fosse la virtù (e non poteva essere altrimenti). Cosi facendo, Socrate si era messo in cattiva luce e fu condannato a morte, ma, di fronte agli amici che gli chiedevano di scappare, dimostrò un certo fair play nell’accettare la sua sorte: scappare non era giusto perché se tutti l’avessero fatto, sarebbe stato il caos. Come i genitori vanno rispettati anche quando sono ingiusti, cosi valeva anche per gli editti emanati dalla mentalità pubblica che lui si rammaricherà sino alla fine di non essere riuscito a cambiare.
Federica Gennari