La perfezione della scultura, la levigatezza setosa del marmo, l’equilibrio delle forme: queste caratteristiche valsero a Marchese Antonio Canova (Possagno, 1º novembre 1757 – Venezia, 13 ottobre 1822), maestro incontestato del Neoclassicismo, il soprannome di “nuovo Fidia”, associandolo all’immortale bellezza della statuaria antica. Nato a Possagno il 1° novembre 1757, fu introdotto alla scultura dal nonno, tagliapietre e scultore, il primo a riconoscere il talento del futuro grande artista. Sulla fine degli anni Sessanta passò nello studio di Giuseppe Bernardi-Torretti per poi frequentare l’Accademia, dove ebbe modo di copiare nudi e gessi presenti nella galleria. Già nel 1775 però, riconosciuto il proprio potenziale, decise di aprire una propria bottega, che segnò la nuova stagione produttiva dell’artista: in questo periodo realizzò opere quali Dedalo ed Icaro (1779) ed Orfeo ed Euridice (1776), pezzi inseribili nella cultura settecentesca ma già protesi, non solo per il tema, alla prossima produzione canoviana d’ispirazione classica. Questa attenzione alla tradizione classica pesò sulla decisione di partire per Roma: il 9 ottobre 1779 infatti, Canova si trasferì nella città capitolina al fine di studiare direttamente la statuaria antica visitando i musei cittadini e frequentando l’Accademia di Francia. Da Roma iniziò ufficialmente la sua ascesa professionale: l’ambasciatore Zulian, veneto anch’esso, gli procurò le prime commissioni romane e, soprattutto, lo incaricò della realizzazione di pezzi quali Teseo sul Minotauro (1781, Londra, Victoria and Albert Museum), già costruiti secondo un ordine e una pulizia compositiva lontani dal dinamismo barocco.
Durante questa grande e lunga stagione Canova produsse opere di grande pregio, spesso incentrate sulla bellezza e delicatezza della figura femminile quali “Le tre grazie” (1813-1816, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage) dalla costruzione armoniosa e una raffinata lavorazione del marmo dagli interessanti effetti chiaroscurali, la Venere italica (1804-1812), una riproposizione personalizzata di una statua di Prassitele rielaborata da Canova con una semplicità e una pudicizia eccezionali, la Maddalena penitente (1793-1796), della quale offrì un’interpretazione particolare, di una sofferenza contenuta e di dignità classica.
Queste opere non solo dimostrano una completa assimilazione della bellezza immortale della statuaria greca, ma anche la traduzione in una composizione aggraziata e leggiadra, estranea alla passionalità e al dinamismo barocchi, aderente piuttosto alle teorie artistiche del Winkelmann, favorevoli ad una scultura di “nobile semplicità” e “quieta grandezza”. Si ricorda che la tecnica scultoria prevedeva la realizzazione di bozzetti derivati dalla copia delle statue antiche, trasformati poi in modelli in terracotta, sopra i quali veniva colato il gesso: prese le misure del calco in gesso, tramite un pantografo (compasso) venivano riportate sul blocco marmoreo per procedere alla sbozzatura e alla rifinitura finale.
L’opera forse più conosciuta di Antonio Canova rimane però il gruppo di “Amore e Psiche” (1788-1893, Parigi, Museo del Louvre) questa rappresenta l’apice della lavorazione fine del marmo, della levigatezza lucida del materiale, della sensazione di purezza e semplicità della statuaria canoviana, simbolo della bellezza immortale e universale.
Il soggetto, come in molti altri casi, è mitologico, in piena aderenza alla scultura greca: rappresentato nel momento culminante, non cade però nell’enfatizzazione dell’eccessiva espressività, ma, al contrario, interiorizza ogni risvolto emotivo in un risultato di armoniosa pacatezza e silenziosità. L’erotismo della scena è reso con grande delicatezza e racchiuso nella gestualità pacata, in grado di sublimare l’atto in un momento di eterna perfezione ed equilibrio.
Di genere diverso“Ercole e Lica” (1795) commissionato da don Onorato Gaetani Aragoni: la pacatezza del gruppo precedente è abbandonata per una composizione energica e dinamica. Tuttavia, nonostante Ercole sia rappresentato nell’atto di scagliare Lica, in un momento di massima tensione, la composizione si chiude in uno schema circolare, rivelando una sicura ispirazione antica, derivata dalla statuaria classica. Oltre alla statuaria, Canova ottenne importanti commissioni per monumenti funebri, tra i quali si ricordano soprattutto il “monumento a Clemente XIII” (1787-1792, Roma, Basilica di San Pietro in Vaticano) il monumento a Clemente XIII (1787, Roma, Basilica dei Santi Apostoli) e il “monumento a Maria Cristina d’Austria” (1798-1805, Vienna, Chiesa di S. Agostino) Nei primi due casi, inserendosi nella tradizione, Canova optò per una composizione a tre piani con figure allegoriche (1° piano), sarcofago (2° piano) e, al culmi e della struttura, il ritratto papale. Si tratta di uno schema completamente negato nel monumento a Maria Cristina d’Austria, ricco di simbologia e costituito da una vera e propria piramide, simbolo funerario e rappresentazione dell’oltretomba, al cui accesso si appresta un piccolo corteo di anziani, adulti e giovani, il cui ordine simboleggia la totale imparzialità della morte, alla cui soglia si approssimano. Durante il periodo napoleonico, Canova visse un periodo artisticamente molto fecondo, assumendo la carica di ritrattista ufficiale di Bonaparte, per il quale, tra l’altro, realizzò un ritratto della sorella Paolina nelle vesti di Venere, sdraiata su un triclinio romano. La stagione romana e le commissioni napoleoniche sancirono la fama della statuaria canoviana che, per molti artisti, rappresentò una vera e propria fonte d’ispirazione. Data la forte competenza artistica, Canova ottenne inoltre alcune importanti cariche istituzionali: fu nominato “Ispettore Generale delle Antichità e delle Arti dello Stato della Chiesa” (1802), fu chiamato a giudicare l’autenticità dei marmi del Partenone portati da Lord Elgin ed, infine, dopo la disfatta di Napoleone, fu incaricato di riottenere le opere italiane portate da Bonaparte a Parigi (carica per la quale ottenne il titolo di Marchese d’Ischia). Antonio Canova morì il 13 ottobre 1822 a Venezia. Le spoglie sono conservate nel tempio di Possagno (Treviso), progettato dall’artista stesso.
Federica Gennari