Nella prima metà del Novecento il Messico mostra un forte slancio artistico, stimolato dalla situazione politica e dalla svalutazione della tradizionale pittura da cavalletto, abbandonata a favore dell’arte parietale, un’arte pubblica, popolare, accessibile a tutti e fortemente espressiva. La riscoperta della tradizione artistica locale, combinata ad un linguaggio estremamente narrativo, insieme realistico e simbolico, rende questa forma artistica, nota sotto il nome di muralismo messicano, una delle più conosciute correnti del mondo sudamericano. Uno dei principali esponenti di questa corrente è Diego Rivera, all’anagrafe Diego María de la Concepción Juan Nepomuceno Estanislao de la Rivera y Barrientos Acosta y Rodríguez (Guanajuato, 8 dicembre 1886 – Città del Messico, 24 novembre 1957). Formatosi nell’Accademia di San Carlos, vinse una borsa di studio che gli permise di studiare in Spagna e in Italia, dove visse nel periodo tra il 1905 e il 1916. Proprio in Italia ebbe modo di conoscere la grande pittura rinascimentale e, soprattutto, gli affreschi dei grandi maestri, importantissimi per la successiva produzione murale. Tornato in Messico e accostatosi al partito comunista, iniziò a realizzare i primi murales su alcuni edifici di Città del Messico: questa produzione, della quale ne sono esempi le pitture Il giorno del morto (1923-24, Città del Messico, Segreteria di educazione pubblica) e la Celebrazione e cerimonia della cultura Totonaca (1950, Palazzo Nazionale) rivela una forte attenzione per il tema sociale, la cultura locale e la vita politica del paese, mixati in una pittura dai colori espressivi ed intensi, resa eloquente da uno stile essenziale e semplificato. Tra il 1924 e il 1927 Rivera dipinse presso la Scuola Nazionale di Agricoltura di Chapingo, dove realizzò un grandioso ed imponente murales ispirato alla cultura precolombiana e alla rivoluzione agricola. A dominare la galleria dipinta, Rivera pose un imponente nudo femminile, di sapore quasi biblico: tutto il ciclo ha una forte carica simbolica, dalla nudità come richiamo alla fecondità della terra, alla rapprestazione de Il sangue dei martiri agrari], sepolti sotto una vegetazione spenta. Nonostante l’arte di Rivera fosse apprezzata, da una parte, per la chiara e lucida posizione politica, dall’altra, con la caduta del governo Obregon, la critica sottesa alle opere dei muralisti non venne più accettata, provocando un progressivo allontanamento degli artisti “politicizzati”: così come Orozco e Siquerios, anche Rivera dovette infatti abbandonare il Messico, spostandosi negli Stati Uniti verso il 1931. La pittura di Rivera fu dunque esportata in un nuovo contesto: lavorò tra New York e la California, suscitando però non poche polemiche. L’arte fortemente politicizzata di Rivera, infatti, non trovò l’apprezzamento del pubblico americano che, in particolare, respinse il murales realizzato presso il Rockefeller Center newyorkese, nel quale l’artista inserì un ritratto di Lenin: le critiche mosse all’artista e la distruzione del murales, lo costrinsero a fare ritorno in Messico, anche a causa dell’annullamento di molte commissioni precedentemente affidategli. In patria, Rivera continuò la sua carriera prendendo precise posizioni politiche e offrendo asilo a Leon Trotsky (1936).
Sotto il profilo privato, Diego Rivera ebbe una complicata vita sentimentale, segnata da molteplici matrimoni, divorzi e tradimenti: in particolare, nel 1926, si sposò con la celebre pittrice messicana Frida Kahlo (Coyoacán, 6 luglio 1907 – Coyoacán, 13 luglio 1954), dalla quale successivamente divorziò, per poi risposarla nel 1940. Diego Rivera morì il 24 novembre 1957, a Città del Messico, dove ora riposano le sue spoglie. Un pittore di parte, una vita intensa: un’arte influenzata ed estremamente connessa alla vita dell’artista, giocata tra l’idea politica e l’amore, vissuti entrambi con quella stessa passionalità intensa riscontrabile nella pittura comunicativa, vivace ed espressiva di Rivera. La lotta politica, il popolo, le radici culturali: gli ingredienti della pittura murale di Diego Rivera.
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Federica Gennari