Nel 1892 a Berlino una mostra suscitò scalpore. Erano esposte le opere del giovane pittore norvegese Edvard Munch (12 dicembre 1863 – 23 gennaio 1944), formatosi negli anni ’80 a Oslo in ambito naturalista, facendo poi evolvere la sua pittura verso una forma d’impressionismo a seguito del soggiorno a Parigi nel 1885.
Progressivamente l’artista si discosta dal realismo, delineando il suo stile attraverso un uso non descrittivo del colore, ma funzionale all’evocazione di stati d’animo grazie a lunghe pennellate ondulate e ripetute come a suggerire flussi emotivi. Il tema centrale della pittura di Munch è l’angoscia dell’esistenza (probabilmente motivata dall’infanzia segnata da dolore e sofferenza per le malattie e i problemi famigliari) che diventa il soggetto multiforme di molti dei suoi dipinti ai quali dà i titoli esemplificativi di “l’angoscia, il grido, la gelosia, la malinconia, la morte nella stanza, il vampiro…” trasferendo in pittura le proprie riflessioni sui misteri senza tempo dell’amore e della morte.
Nella sua produzione sono rintracciabili molti elementi della cultura nordica, soprattutto letteraria e filosofica come per esempio i drammi di Ibsen e Strindberg, la filosofia esistenzialista di Kierkegaard e la psicanalisi di Freud. Da questo Munch assume una visione della vita legata all’attesa angosciosa della morte che riversa nei suoi lavori contaminandoli di un’inconfondibile inquietudine.
Il Grido (olio su tela, 1893, Munch – Museet, Oslo) è il lavoro che meglio esemplifica la sua poetica; disse l’autore:
“Una sera passeggiavo per un sentiero, da una parte stava la città e sotto di me il fiordo. Ero stanco e malato. Mi fermai e guardai al di là del fiordo – il sole stava tramontando – le nuvole erano tinte di rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando”.
Incompreso precursore dell’espressionismo, Munch venne invece accolto favorevolmente dalle avanguardie ed espose alle loro mostre (compresa la Secessione di Vienna del 1899) rendendo in questo modo la sua opera più comprensibile perchè inquadrata nella giusta cornice interpretativa. Al pari degli altri espressionisti venne perseguitato dal regime fascista che riteneva la sua opera “arte degenerata” e molti dei sui dipinti presenti nei musei tedeschi vennero venduti.
L’artista norvegese morì nel 1944, in piena guerra, e lasciò tutti i suoi beni e le sue opere al municipio di Oslo. I quadri erano più di 1000, ma molto si presentavano deteriorati in quanto Munch li lasciava, secondo un trattamento che chiamava “cura da cavalli”, all’aperto.
In occasione del centenario dalla nascita, nel 1963 la capitale norvegese dedica all’artista un museo (Munch Museet), nel quale si trova anche “Il fregio della vita”, una serie di tele di grandi dimensioni che Munch realizzò a fine ‘800 dove cercava di esprimere la sua visione conclusiva della vita, intesa come il rigenerarsi di amore e morte.
Come spesso capita ai grandi artisti, il riconoscimento tende ad arrivare dopo la morte. Così è stato anche per Edvard Munch, che ha avuto il massimo riconoscimento il 2 maggio 2012. Infatti, una delle quattro versioni de “Il grido” (1895) realizzate dal pittore norvegese è stata venduta all’asta da Sotheby’s a New York al prezzo record di 119,9 milioni di dollari. Tale versione viene descritta come quella dai colori più brillanti ed è anche l’unica delle quattro che riporta un breve testo scritto dall’autore. L’opera apparteneva al collezionista Petter Olsen, il cui padre era conoscente di Munch che ha dichiarato di venderla per permettere anche ad altri di poterla ammirare.
Le atre versioni del Grido sono conservate nei musei norvegesi; due di queste furono rubate (nel 1994 e nel 2004), ma furono poi ritrovate e riposizionate nei rispettivi musei.
Daisy Viviani