Man Ray, Artista, il cui esatto nome anagrafico è Emmanuel Rudnitzky (Filadelfia il 27 agosto 1890 – Parigi, 18 novembre 1976). I genitori si trasferiscono dalla Russia negli Stati Uniti, a Brooklyn, dove Ray si interessa all’architettura. Attratto dai musei di Manhattan, diventa visitatore regolare della Galleria 291 di Alfred Stieglitz; nel 1913 va a vivere presso una comunità di Ridgefield, New Jersey, dove incontra, e presto sposa, la poetessa belga Donna Lecoeur (pseudonimo di Adon Lacroix). Dopo ulteriore spostamento a New York, inizia a guadagnarsi da vivere con la fotografia, realizzando ritratti e documentando opere di altri artisti; nel 1921 Marcel Duchamp, suo amico, lo invita a raggiungerlo a Parigi, dove viene in contatto con i grandi come Salvador Dalì (Figueres, 11 maggio 1904 – Figueres, 23 gennaio 1989). Qui entra subito in contatto con il “dadaismo”, movimento conosciuto principalmente per le proprie posizioni contro la guerra: in questo senso l’opera di Ray “A.D. 1914”, ispirata ad un autore rinascimentale, presenta caratteristiche “cubiste” diventando il suo lavoro più esplicitamente politico. Nella capitale francese, comunque, inizia come fotografo professionista diventando progressivamente collaboratore di “Harper’s Bazar”, “Vogue”, e “Vanity Fair”: aumentando la popolarità, anche la clientela si espande; negli anni trenta diminuisce invece tale impegno, tornando ad occuparsi di pittura. Nel giugno del 1940, quando il governo francese crolla e dichiara l’armistizio, molti colleghi hanno già lasciato Parigi: il 6 agosto si imbarca così da Lisbona per gli Stati Uniti, giungendo a Hoboken. A New York, sentendosi depresso, Man Ray accetta l’offerta di un amico di attraversare in macchina gli USA. Il mattino successivo telefona a Juliet Browner, modella del Bronx, che lo raggiunge immediatamente: i due abiteranno in un appartamento al 1245 di Vine Street, trasformato nello “Studio Man Ray”, sposandosi nel 1946. Conclusa la guerra in Europa, è invitato a far ritorno in Francia: lui e Juliet si imbarcano dunque il 15 Marzo verso Parigi; qui inizia un periodo di rinnovata e intensa attività, durante il quale continua a produrre bozzetti, preferendo l’inchiostro su carta. Il riconoscimento giunge con l’assegnazione di una medaglia d’oro alla Biennale di Venezia del 1961 e soprattutto quando nel 1976, il governo francese gli assegna l’Ordine per merito artistico. A Novembre è ricoverato in una clinica privata, in seguito a problemi respiratori e ad uno stato di generale debolezza: il 18 novembre, con accanto Juliet, muore nella propria casa ed è sepolto nel cimitero di Montparnasse. A lungo considerato uno dei più versatili e innovativi talenti del ventesimo secolo, è forse maggiormente conosciuto oggi per la profonda associazione con il gruppo surrealista di Parigi negli anni ’20 e ’30, grazie al quale si è distinto per l’alta inventiva e le immagini non convenzionali. Solo recentemente il contributo di Ray è stato rivalutato: in precedenza, i critici lo giudicavano quasi una pasticciata fusione tra pittura e scultura; il conflitto di tutta una vita, non a caso, per lo stesso Man Ray si cela dietro la sua battaglia contro la fotografia, campo nel quale non aveva rivali. All’interno dello studio in via Ferou, fra centinaia di scarti e prove di sessione, è impossibile scovare un ritratto di scarsa qualità; nel 1966 Man Ray disse a Jules Langsner, curatore di una retrospettiva a Los Angeles: “Una macchina da sola non crea l’immagine. Per quello, serve prima un soggetto. Ecco cosa determina l’interesse della fotografia.” E ancora: “Non è mai stato il mio scopo registrare i sogni che avevo, ma semplicemente ero determinato a realizzarli.”
Pertanto Man Ray, non dovrà essere ricordato solamente per “Le Violon d’Ingres”, dove immortala come protagonista nella storica fotografia del 1924, Alice Prin (Châtillon-sur-Seine, 2 ottobre 1901 – Parigi, 29 aprile 1953), modella ma anche cantante e intrattenitrice nei locali notturni della città, meglio conosciuta con il nomignolo di Kiki de Montparnasse, che vivrà per circa sei anni con l’artista. L’intento dell’autore era quello di creare un gioco umoristico che evocasse, in immagine, la frase idiomatica francese “violino di Ingres” che significa “il proprio hobby” (così come suonare il violino era l’hobby di Ingres). La prorompente genialità, gli permetterà di abbattere diverse barriere di linguaggio. A dimostrazione della acquisita e virtuosa tecnica la scultura che proponiamo alla Vostra attenzione: “La struttura nello spazio” (pezzo unico!), progettata nel 1918. Scultura in fusione di bronzo a cera persa lucidata manualmente a specchio. L’imponente scultura, cronologicamente precede l’anno (1924) nel quale è nato il “surrealismo”. Man Ray, risulterà fra gli artisti più influenti dell’ultimo secolo, autore di opere divenute vere e proprie icone del Novecento.
La straordinaria inventiva di questo artista: fotografo, pittore, creatore di oggetti e film sperimentali mettono in luce i temi guida della sua ricerca: la figura femminile, la passione per gli scacchi, il rapporto fra realtà e finzione, la maschera e la personalità velata, la sperimentazione in ambito fotografico e altri ancora. La scultura appartiene al Periodo Americano (1890-1920), Man Ray, si immerge nel proprio mondo “fantasy”, dove tutto risulta possibile. Suo principale (quasi ossessivo) tema: le “Donne”. Tema molto vasto e ricco, fonte inesauribile di ispirazione. Discorrere di sogni comporta una certa vaghezza. Niente è meno vago delle scene precise, ancorchè metamorfiche. “La struttura nello spazio”, quasi un megalite monolite, si staglia eretta nello spazio costituendo un simbolo atavico d’immortalità, risalendo ai miti riti sciamanici, il cui animismo ha rivisitato spesso le arti moderne. A Ray, va anche riconosciuto il merito di avere creato con diverse tecniche luoghi inediti, siti mitografici (μυθογραφία), producendo cicli di energici sortilegi.
Edoardo Sancassani