ARON DEMETZ, DI VITTORIO SGARBI

Aron Demetz si è formato in Val Gardena, nei luoghi dove il legno e la tradizione della scultura in legno hanno una lontana vicenda, anche se non sempre legata ai valori dell’arte. Imparare il mestiere, muoversi in un luogo dove c’è la consuetudine a lavorare il legno è stato sicuramente uno stimolo importante per Aron Demetz a trasformare quella tradizione in una visione assolutamente personale, lirica, dolce e pienamente fiduciosa nella forza dell’arte, senza bisogno di pensare altro che quello che t’ispira dentro la visione dell’uomo, e che tu puoi tradurre attraverso l’arte con la scultura; quindi nessuna malizia, nessun pensiero recondito, nessuna volontà, simile a quella dell’ormai universalmente noto Cattelan, di giocare, di fare colpi di scena, di provocare, anche in modo non violento e non particolarmente scenografico, di fare colpi di teatro come siamo stati abituati a vedere nell’impresa di Salvador Dalì, di Andy Warhol o di Piero Manzoni; occorre dire che in Cattelan non c’è questa necessità di fare qualcosa di assolutamente stravagante. C’è, semmai, l’idea di fare qualcosa che faccia riflettere e produca un pensiero sulla cosa che è l’opera stessa. L’opera, infatti, non è l’opera in sé, ma il pensiero su quello che l’artista ha fatto. Demetz, invece, torna indietro, pensa che l’artista debba fare qualcosa che dialoghi con il reale e stabilisca un’alternativa al reale, che è appunto l’arte. Vedere che dalla sua mano escono questi volti pallidi e gentili di giovinette, o questi corpi magri di adolescenti, o queste espressioni tenere e disarmate, come i ritratti di suo figlio, insomma tutto quello che appartiene alla vita quotidiana e che egli ha la forza di trasportare in scultura, è ritornare all’origine dell’arte, intesa come riproduzione del reale, non una riproduzione meccanica, ma una riproduzione emozionata, lirica, commossa. Più del lavoro del pittore, che procede per apparizioni, quello dello scultore evoca meraviglie, produce rivelazioni. La pietra, la terra, il legno contengono entro di sé la forma e la vita. In Val Gardena da sempre le forme escono dal legno, e Demetz sente che nel legno si nasconde un’anima, così la tenta, la cerca, la estrae con una sensibilità assolutamente personale. Demetz trova nel legno anime, anime trepide e impavide, certe della loro bellezza e della loro integrità; ci guardano, ferme, senza un tremito, senza alcun turbamento. Il volto è liscio e la forma s’increspa appena sulla testa, a restituire il volume dei corti capelli. Demetz accompagna le venature del legno con un leggero, opalescente cromatismo per restituire l’improvviso arrossire e insieme l’integrità dell’adolescenza. In perfetta misura la testa s’innesta su un busto nero dal collo graziosamente ritagliato. Invenzione perfetta nel motivo delle braccia conserte che viepiù chiudono l’immagine chiusa. Un’immagine ritrovata dopo tante frantumazioni, traumi e faticate forme, per riaffermare la semplice misura del corpo: Demetz si sbarazza di un passato ingombrante, di ogni situazione di dubbio, e risale a un’immagine prima, cui nessun’altra soccorre. Non conosce il tormento della forma di altri scultori, ma si lascia guidare da un’assoluta verginità dello sguardo che traspare da ogni sua opera.

Vittorio Sgarbi