BERNARDINO LUINO, DI VITTORIO SGARBI

Non deve essere facile fare l’artista contemporaneo avendo il nome di un grande artista del passato. È la condizione di Bernardino Luino (Latina, 27 marzo 1951), pittore sessantenne nativo di Latina, il cui nome ricalca quello di un celebre pittore rinascimentale, Bernardino Luini (che vuol dire “da Luino”), uno dei principali allievi di Leonardo in Lombardia. A oltre cinquecento anni di distanza, dunque, per una curiosa bizzarria anagrafica, ritroviamo un nuovo Bernardino Luino ad attraversare le vicende della pittura italiana. Dal guardare al vedere: così dovessi sintetizzarlo, definirei il percorso formativo di Luino, la sua educazione spirituale non meno che quella artistica. Luino non voleva fare “arte alla moda”, come sembrava d’obbligo negli anni sessanta e settanta. Luino voleva fare “vera” arte, fondata su valori non approssimativi, su cose concrete e immediatamente verificabili, su riflessioni di carattere universale che mantenessero un significato inalterato anche a distanza di tempo. Un’arte, cioè, capace di suscitare le stesse sensazioni che Luino verificava quando ammirava alcuni dei suoi preferiti maestri del passato, Piero della Francesca, Paolo Uccello e, fino a un certo momento, anche Caravaggio, i più recenti De Chirico, Casorati e Donghi. 

Tutti artisti che trasponevano lo sguardo nella visione, la percezione fisica della realtà nella sua rappresentazione apparentemente fedele, ma legata invece a una dimensione intellettuale diversa, quella della riflessione, dell’interpretazione. La pittura, allora, non è mai semplice percezione della realtà, è un momento successivo a essa, è il tentativo di dare una ragione a ciò che si guarda. La verità è che la percezione “neutra” è un’utopia. Questo ha convinto Luino. Questo deve essere il compito dell’artista, la sua responsabilità intellettuale: prima guardare, poi vedere e far vedere attraverso quel passaggio dalla dimensione fisica alla dimensione “altra” che si chiama rappresentazione. Così Luino si concentra sulla quotidianità del moderno, sull’esplorazione analitica di frammenti di vita in contesti ristretti, interni apparentemente banali, che diventano microcosmi perfettamente funzionali, concetti assoluti che identificano l’intero spazio vitale dell’uomo. Luino ci sembra un prestigiatore che abbia coperto con un velo il letto della nostra stanza o la tavola della nostra cucina. Davanti ai nostri occhi, quel letto e quella stanza hanno acquistato un nuovo interesse, pur essendo esattamente gli stessi di prima. Hanno acquistato il senso del mistero che si nasconde nella loro presenza, nella meraviglia visiva e concettuale della loro struttura, nell’incerta ma non smentibile possibilità che portino a significati metafisici ulteriori. Questo è il nostro quia, legato alla fenomenologia di piccole-grandi cose, all’inesauribile stupore del quotidiano, in attesa della rivelazione finale. La poesia è la salvezza del mondo. 


Vittorio Sgarbi