Dopo secoli di tradizione scultorea intesa come ricerca della perfezione formale e dell’equilibrio proporzionale, arrivare alle sculture di Bruno Catalano (Khouribga, 1960) significa non solo operare una decisa inversione di marcia, ma anche constatare che non sempre la materia è in grado di rendere, nella sua fisicità totale, il messaggio o l’emozione trasmessi dall’artista. Se nella sculura classica il prodotto era considerato eccelso per l’armonia e plasticità delle forme, per la strutturazione per una visione a 360°, le sculture di Catalano svuotano la materia riducendola a frammenti. Lo straordinario risultato di quest’operazione “in levare” è un riassunto, una riduzione ai tratti salienti che identificano i personaggi ritratti, come uno schizzo a matita che indugia sui caratteri di un volto per perdersi poi nella descrizione del corpo, non finito. La serie dei “Voyageurs” applica questa sintetizzazione a personaggi persi, viaggiatori diretti chissà dove: hanno una meta, un obiettivo stampato negli occhi ma impossibile da decifrare. Dovremmo (o vorremmo?) aprire la valigia che portano con sè, scavare tra i vestiti e i libri, per capire quella fretta di partire, quell’espressione corrucciata o uno sguardo malinconico.
Sembrano figure dal fascino cinematografico, uscite da un film in bianco e nero, deluse da un abbandono, da un amore impossibile, costrette ad una lontanza incolmabile: qualcosa che le sbriciola e li lacera, riducendole a frammenti di uomini. Questa mutilazione operata dall’artista, un tratto inconfondibile della sua produzione, non solo attrira l’attenzione dello spettatore ma è in grado di interagire con lo spazio e l’aria, che si assumono il compito di completare la scultura. Bruno Catalano (classe 1960) ha iniziato a dedicarsi alla scultura dal 1990 ottenendo un grande successo sia in Francia che in ambito internazionale, con pezzi appartenenti a collezioni di grandi società (pubbliche e private) ed esposizioni in Europa (Francia, Belgio, Svizzera e Gran Bretagna), Asia (Cina) e America (Stati Uniti). La tecnica utilizzata da Catalano è il bronzo, trattato a frammenti e colorato con tinte mai brillanti che conferiscono alle figure una patina d’altri tempi. In “Mattéo” la valigia ha la tinta bruna delle valigie di pelle, vissute, stropicciate, piene di documenti disordinati e forse di qualche fotografia.
“Les raisins de la colère” con la tuta azzurra del lavoratore, pare un padre in partenza, alla ricerca di una nuova vita o forse di un passato da recuperare. Hanno tutti un destino, un motivo che li muove, una valigia piena di un qualcosa, una direzione da prendere. Il fascino esercitato da queste sculture, sospese come per magia a mezz’aria, deriva dall’allusione a ciò che manca, non solo in senso fisico sotto forma di materia asssente, ma anche in senso emozionale, riscontrabile in quell’aspetto malinconico che pare accumunare tutti i viaggiatori. “Le grand Van Gogh“
rappresenta forse la fase di riduzione più estrema della scultura di Catalano, gli ultimi frammenti della sintetizzazione di una figura che pare ormai sul punto di scomparire, di dissolversi nel vento e nel paesaggio, che la completa. Questi frammenti di viaggiatori sono resti di ricordi, vecchie fotografie strappate: opere molto diverse dagli altri bronzi realizzati dall’artista, sculture di una certa ironia, figure con forme leggermente distorte e, in certi casi, dai tratti caricaturali. Si tratta di sculture che in larga parte rinunciano all’uso del colore (se non per piccoli dettagli caratterizzanti) e che godono di forme piene, complete, lontane dalle lacerazioni dei Voyageurs. Alcune, come “Savon” e “Mr. Mercedes” hanno precisi e concreti riferimenti al mondo economico contemporaneo, scostandosi dalla sognante e allusione dei viaggiatori, rivolti a un pensiero o ad un passato impalpabile.
Federica Gennari