Tra i grandissimi maestri, tra il visionario El Greco e Velasquez, va ricordato Francisco José de Goya y Lucientes (Fuendetodos, 30 marzo 1746 – Bordeaux, 16 aprile 1828) , che è stato soprattutto ritrattista. Ma non direi che ci sia in lui un monocromo, perché anche il monocromo è policromo in Goya.
C’è il momento delle pitture della Quinta del Sordo, il momento delle pitture nere, il momento in cui Goya risulta essere il pittore più profondo della storia della pittura, perché dipinge prima di tutto la coscienza, la parte intima e segreta, dipinge il male che è dentro l’uomo, e attraverso la pittura conquista degli spazi che la pittura stessa non aveva mai occupato.
Però nei suoi ritratti, nella famiglia reale, soprattutto nel rapporto con una famiglia reale di cui lui ricerca anche i difetti e i caratteri più umani che regali, c’è la capacità, che deriva probabilmente dalla conoscenza della pittura veneta, presente anche in Velasquez, di rappresentare in una situazione mai vistosa, salvo il primo tempo, quando egli dipinge le opere per gli arazzi reali, ma c’è la sensazione di colori tenuti bassi, in cui però risulta tutta la gamma cromatica possibile. Quindi trasparenze straordinarie, una pittura d’anima, una pittura della coscienza che fa di Goya l’erede naturale di Velasquez, ma rispetto ad esso meno “ariostesco”, più drammatico; in Goya c’è infatti il sentimento dell’inferno. È come se il mondo fosse visto non dall’alto, con l’occhio di Dio, ma con l’occhio del demonio o, perlomeno, di qualcuno che dell’umanità sente il tormento, il dolore, la miseria, l’incapacità, l’impotenza. Quindi la forza di Goya è questo gigantismo del male. Egli è forse il pittore che più di tutti assomiglia al Michelangelo del Giudizio Universale, ma un Michelangelo che non crede al trionfo del bene, non crede che Dio alla fine sia capace di sceverare il bene dal male, ma che il male prevalga. E le sue incisioni, d’altra parte, sono la testimonianza di questa dimensione, rappresentata nella celebre frase: “Il sonno della ragione celebra mostri”. Da questa frase si può intendere che la ricerca di Goya è, appunto, la rappresentazione pittorica del sonno della ragione e della miseria dell’uomo davanti alla Storia e davanti alla Natura.
Vittorio Sgarbi