Per sua natura, lavorare la creta regala ancora un certo fascino demiurgico, un atto intimo e privato del tutto esclusivo ancora di sapore biblico: con il calore e la pressione delle mani l’artista dona il soffio della vita, forgia, imprime i segni della forza e concede al mondo le proprie composizioni.
Proprio da questo rapporto privilegiato con la materia e, anzitutto, con la creta, nasce l’incontro con la scultura per Ginka Benini: “ho usato diversi materiali, resine plastiline, stucchi, ma la creta rimane quello più piacevole nella fase di lavorazione. Si deve avere una certa predisposizione per la confusione e per la polvere”.
Motivato da un’esigenza d’espressione alternativa al vivere quotidiano, al ruolo sociale, all’immagine pubblica di sé, Giancarlo Benini, infatti, classe 1968, di rigorosa formazione bocconiana, ricerca un linguaggio in grado di tradurre la tensione interiore, trovando strada in prima istanza nel disegno, nella scrittura e nella produzione video. Nel 2002 la progressiva maturazione artistica, spinta dall’impatto fisico-emozionale (“godendosi le mani sporche più ancora dei risultati”) con la materia, si sublima e crea i giganti di “Manui”, una personale del 2010 che sancisce il successo dell’artista.
Il soggetto è l’uomo, ma anzitutto la sua forza: le sculture di Benini sono uomini dalla fisicità potente, dall’anatomia curata, dalla muscolatura fremente. Questo attento studio del particolare sembra avere una certa memoria del classico: i disegni preparatori riecheggiano i grandi exempla leonardeschi e michelangioleschi, rinnovati però da una corrente espressiva che ne deforma le perfezioni, ne sfoga gli impulsi e le tensioni interiori. Non sembra pertanto casuale che molti dei soggetti prescelti, quali “Anteo”, “Vitruvio”, “Icaro”, “Atlante”, siano derivati dall’antichità lontana.
È così dunque che questi possenti uomini assumono l’aspetto di mitologici giganti caduti sulla terra, incapaci di urlare, di dare fiato a quello stato d’animo e a quelle inquietudini che ne tormentano la carne. Solo le mani rompono questo silenzio: Benini le trasforma, le gigantizza e le rende concretizzazione della parola; la grazia e l’eleganza della statuaria classica viene sopraffatta dal gesto, vera e sola forma di comunicazione.
Queste mani monumentali, che sfidano la gravità con la loro imponenza, rompono lo spazio e focalizzano l’attenzione sulla mimica gestuale, fatta di dita intrecciate, pugni chiusi e vene rigonfie: osservando il “Tuffatore” si riscontra una sintetizzazione dell’atto tale da riassumere nell’inarcatura delle grandi mani la potenza dello slancio della figura. Ancora più espressivo “Paternità”, dove l’intreccio delle mani sul ventre sembra costruire un grande nido protettivo che, alludendo alla maternità, se ne dissocia dall’altra parte, trasmettendo con grande raffinatezza tutta la potenza della protezione maschile.
Diventa chiaro a questo punto come questo florilegio di muscoli e nervi tesi parli allo spettatore di inquietudini e forze inespresse che l’artista estranea dal quotidiano vivere per trasferirle nell’intimo processo della modellazione.
Il colore delle sculture rimane spesso delicato, quasi acquarello, e senza interferire con l’espressività della materia, se toccato dalla luce trasversale, dona alla superficie un fascino quasi metafisico, sul modello dei certi pezzi antichi di alcune opere di De Chirico.
Tra il 2010 e il 2012 Benini ha partecipato alle collettive “Influenze” (Art&Co Gallery di Milano) e “Dude Party” (Dude Production, Milano) e ha esposto alla fiera AAF 2012 di Milano: il successo è arrivato però già nel 2010 con la personale “Manui” (Oggi non ho fretta, Milano).
L’ultima produzione ha visto affiancare alle creature Manui la serie delle “teste vuote”, apparentemente un dietro-front rispetto alla monumentale materialità della scultura precedente: in realtà, come sostiene Benini stesso, “la parte mancante delle Teste vuote e’ in realtà’ ciò’ che le rende piene e che gli dovrebbe donare una coerenza come esseri a sé stanti”; nella loro incompletezza non rappresentano pertanto una parte di qualcosa di assente, ma “individui indipendenti, per quanto strani”.
È a questo punto che, dunque, risulta evidente che questi umani, deformi in potenza o in deficienza, trovano un loro autonomo equilibrio formale e raggiungono una propria completezza ed eleganza, racchiusi in un mondo epico che riesce ad irrompere con la forza e potenza delle mani nel tessuto del reale.
Federica Gennari
Giancalo Benini – www.ginkabenini.it
Atlante from Ginka Benini on Video.