Nonostante non sia una delle più note cattedrali italiane, il Duomo di Modena riveste un ruolo importantissimo nell’ambito del romanico padano. La cattedrale attuale, frutto di una campagna di costruzione attuata tra il 1099 e il 1116 a opera dell’architetto Lanfranco, andò a sostituire l’antica chiesa dell’XI secolo, donando alla città una nuova sede vescovile, la cui prima pietra fu posata il 23 maggio 1099 su spinta della popolazione modenese. La planimetria scelta da Lanfranco, piuttosto sfasata rispetto il tracciato dell’edificio precedente, appare in aderenza con le altre cattedrali romaniche contemporanee: le tre navate sono scandite dal ritmo degli archi a sesto acuto sorretti da pilastri compositi e colonne, e terminano in absidi nella zona presbiteriale che si erge in posizione sopraelevata sopra la cripta. La rilevazione di un certo sfasamento tra l’area presbiteriale e il corpo della cattedrale ha avvalorato la tesi secondo la quale la costruzione sarebbe stata iniziata con un doppio cantiere, creando poi un errore architettonico dovuto ad una misurazione imprecisa. Accanto al lavoro di progettazione di Lanfranco si ebbe la collaborazione dello scultore Wiligelmo che si occupò per primo dell’apparato decorativo della cattedrale. A quest’artista sono attribuite le lastre della Genesi della facciata con la rappresentazione della Creazione dell’uomo, della donna e peccato originale, la Cacciata dal Paradiso, il Sacrificio di Caino e Abele, con l’uccisione di Abele e l’Uccisione di Caino, l’arca del diluvio, uscita di Noè dall’arca: la scelta tematica di tali rilievi è stata più volta inquadrata da alcuni studiosi nella lotta tra Chiesa e Impero, conosciuta dalla situazione modenese. Sempre di mano di Wiligelmo sono alcuni capitelli figurati, la lastra con il Cervo alla fonte, il rilievo con animali fantastici, Enoc ed Elia, i geni alati, l’Ibis e, in generale, la decorazione del portale centrale. Il lavoro del maestro fu poi continuato da diversi seguaci che ne adottarono lo stile nella Porta della Pescheria e nella Porta dei Principi, i due accessi posti sui fianchi della cattedrale. Come nel caso della facciata, la scelta dei temi non risulta mai casuale: presso la Porta della Pescheria, accanto al campanile della Ghirlandina, le Storie di Re Artù dell’architrave alludono, attraverso il tema della cavalleria, ai crociati, mentre le favole zoomorfe si collegano ad ammonimenti cristiani. Presso la Porta dei Principi, l’illustrazione degli Episodi della vita di San Geminiano rappresentano l’exemplum cristiano per il fedele. D’influenza wiligelmica sono inoltre le metope dei contrafforti esterni (I metà XII secolo), rappresentanti figure fantastiche. L’importanza dell’operato di Wiligelmo sta nel essersi posto, con la sua chiara volumetria e la semplicità delle immagini, come caposcuola della scultura romanica: le eccezionali testimonianze lasciate, unite alla preservazione dell’integrità architettonica originaria, fanno della Cattedrale di Modena un esempio preziosissimo di romanico padano, capostipite di molte altre architetture locali e non, considerate filiazioni del duomo modenese sotto l’aspetto planimetrico e/o decorativo. Sotto il profilo architettonico, la facciata a salienti conserva pressoché il suo aspetto primario ed è traforata, al centro, dal portale principale, protetto dall’edicola e decorato da leoni stilofori, secondo un uso tipicamente medievale. Il grande rosone superiore fu aperto nel XIII secolo durante la campagne di lavori dei Maestri Campionesi, giunti a Modena nel 1167 per rimanerci oltre un secolo. Opere di questi artisti furono la Torre Campanaria (Ghirlandina), il pontile, la Porta Regia, alcune decorazioni interne e il pulpito trecentesco. Alle grandi arcate cieche dell’esterno, che corrono lungo tutto il perimetro dell’edificio, all’interno corrisponde una limpida superficie muraria, interrotta esclusivamente dai matronei e da alte colonne che si allungano fino alle volte, costruite in sostituzione delle originarie capriate lignee. Nella navata settentrionale è conservata la Pala di San Sebastiano di Dosso Dossi (I metà del XVI sec.), oltre che al sepolcro del condottiero Claudio Rangoni, realizzato verso la metà del Cinquecento su progetto di Giulio Romano; nella navata opposta si erge il monumento funerario del poeta modenese Francesco Molza (1516). Il bellissimo coro intarsiato del presbiterio risale al 1465 e presenta mirabili illustrazioni prospettiche di pieno stile rinascimentale. Ma la chiesa conserva anche memorie antecedenti la sua stessa erezione: in uno degli absidi laterali si trova una lastra marmorea con una croce e animali fronteggiati derivata dalla prima cattedrale, un esempio alquanto “recente” se confrontato con i numerosi marmi di riuso di età romana impiegati nella costruzione romanica. Sotto l’area presbiteriale, infine, si cela la bellissima cripta, sulle cui colonne si posso ammirare notevoli capitelli illustrati, la maggior parte dei quali attribuibili ai maestri comacini che lavorarono con l’architetto Lanfranco. Oltre a numerose lapidi di vescovi modenesi, qui si conservano le reliquie del santo patrono, San Geminiano, spoglie che furono traslate dalla vecchia cattedrale all’attuale, secondo quanto racconta il manoscritto della Relatio de innovatione ecclesie Sancti Geminiani del 1106.
Federica Gennari