Jacopo Robusti detto Tintoretto (Venezia, 29 aprile 1519 – Venezia, 31 maggio 1594), è considerato uno dei più celebri rappresentanti della Scuola Veneziana, conosciuto anzitutto per la grande energia pittorica ed il tono spesso drammatico.
Miguel Falomir, capo dipartimento di pittura italiana del Prado di Madrid, scoprì che il nome originario del maestro non era Jacopo Robusti ma bensì Jacopo Comin, il primo di 22 figli di genitori bresciani. La famiglia si era guadagnata il soprannome “Robusti” per essersi distinta nella “robusta” difesa di Padova dalle truppe imperiali nel 1509.
La biografia di Carlo Ridolfi racconta che il Robusti seguì un breve apprendistato presso la bottega di Tiziano verso il 1530, ma questi, riconosciuto il pericoloso talento del giovane, lo allontanò. Tintoretto, infatti, dimostrò da subito uno stile vigoroso, alimentato dalla conoscenza dei grandi maestri Raffaello, Michelangelo e Giulio Romano.
Dopo alcuni lavori iniziali, quali le tavole delle Metamorfosi di Ovidio realizzate per la decorazione del palazzo del nobile Vettor Pisani, Tintoretto raggiunse il successo con la tela “Il miracolo di San Marco” (1548, Venezia, Gallerie dell’Accademia), commissionata dalla Scuola Grande di San Marco, la quale, soddisfatta dell’opera (tanto lodata per la veridicità dei sentimenti), incaricò l’artista di realizzare altre tele sul medesimo soggetto: “San Marco salva un saraceno durante un naufragio” (1562-66, Venezia, Gallerie dell’Accademia), “il Trafugamento del corpo di San Marco” (1562-66, Venezia, Gallerie dell’Accademia) e “il Ritrovamento del corpo di San Marco” (1562-66, Milano, Pinacoteca di Brera).
Le tre opere presentano uno stile unitario dalle tonalità scure, grandi effetti prospettici e una gestualità espressiva ed eloquente. L’interpretazione di questi episodi è resa viva e passionale, la storia viene tradotta un linguaggio tormentato, vibrante del dinamismo delle pose e della spazialità prospettica.
Tintoretto lavorò anche con i canonici di San Giorgio in Alga, per i quali realizzò dei dipinti a soggetto biblico per il soffitto e decorato la Cappella Contarini, oltre al cleristorio. Attorno al 1551, inoltre, dipinse per l’Albergo della Scuola della Trinità diversi episodi tratti dalla Genesi nei quali si riconoscono reminiscenze dello stile tizianesco e del Carpaccio.
Il 1549 segnò l’inizio della collaborazione con la Scuola grande di San Rocco per la quale creò il “San Rocco risana gli appestati” (1549) e “San Rocco in gloria” (1564), due opere dalle tonalità calde e dai forti contrasti, che rinvigoriscono l’espressività dei volti e dei gesti. Nel 1567 incluse al ciclo il San Rocco in carcere.
Parallelamente alla produzione religiosa, l’artista si rese noto per la florida ritrattistica che, basandosi su veloci schizzi dal vero e un autonomo studio dei panneggi e del movimento con piccoli manichini, ci tramanda oggi i volti di nobili e politici veneziani, ma anche di celebri cortigiane, rappresentate spesso in vesti mitologiche e riccamente abbigliate.
Presso la Scuola della Trinità realizzò le Storie della Genesi (circa 1550), dove l’attenzione e lo studio del paesaggio denunciano un approfondimento compositivo, inteso sempre come prospettiva e dinamicità. Negli anni successivi lavora inoltre per la Scuola del Santissimo Sacramento (Discesa di Cristo al Limbo e la Crocefissione) e per la Chiesa della Madonna dell’Orto (Giudizio Universale e l’Adorazione del vitello d’oro).
Al 1556 risale la celebre tela “Susanna e i vecchioni” (Vienna, Kunsthistorisches Museum) che rappresenta Susanna in uno scenario idilliaco, ma nel momento meno tragico della vicenda. I vecchioni sono sistemati lateralmente, in ombra, mentre la luce tocca con delicatezza il corpo della giovane seduta serenamente sull’erba, ricordando per l’eleganza alcune opere di Tiziano.
Successivamente, ottenne inoltre importanti commissioni, quali una rievocazione della Battaglia di Lepanto per il Doge e la decorazione della Libreria Sansoviniana, con le cinque tele dei Filosofi. A Palazzo Ducale, inoltre, decorò la Sala delle Quattro Porte, realizzando per il soffitto le personificazioni di Venezia e i suoi possedimenti.
Attorno al 1593 creò per la Basilica di San Giorgio Maggiore gli Ebrei nel deserto e la caduta della manna, “l’Ultima cena” e “la Deposizione nel sepolcro”. Morì nell’anno successivo, il 1594.
Nella vita privata ebbe una figlia illegittima e prediletta, Marietta Robusti detta “Tintoretta”, pittrice di talento come lui. Per evitare che la figlia venisse distratta dalle corti estere, Tintoretto la diede in moglie all’orefice veneziano Marco Augusta. Tintoretto vide, nel 1590, morire Marietta, la sua prediletta, a soli trentasei anni.
Dal suo matrimonio con Faustina Episcopi ebbe 7 figli; Domenico (1560 – maggio 1635), fu l’unico a portare avanti la bottega paterna a discapito della propria vita privata: amante della letteratura, dovette farsi carico del mantenimento della madre e delle sorelle. La bottega, sotto la sua guida, perse il prestigio che aveva con il padre.
Nel 1639, quattro anni dopo la morte di Domenico, il suo collaboratore Marco Casser sposò la sorella di Domenico, Ottavia Robusti, ormai più che ottantenne, tentando inutilmente di risollevare le sorti della bottega.
Del figlio Giovan Battista si conosce molto poco, probabilmente morì in giovane età; Marco (12 marzo 1563 – ottobre 1637) divenne attore, contro il volere della famiglia. Perina (1562-1646) e Ottavia scelsero la vita del convento di Sant’Anna, a Venezia; anche delle altre due figlie, Altura e Laura, non si sa molto.
Tintoretto trattò i figli e le figlie con pari dignità, cercando di lasciar loro di che vivere: nella richiesta per la senseria del 1572 fece il nome dei maschi come quello delle femmine e nel testamento nominò tutti loro come suoi eredi.
Alessia Marcon