I Longobardi, popolazione di origine germanica, fecero il loro ingresso in Italia nel 568, guidati da Alboino, e stabilirono la loro capitale a Pavia. Essi segnarono, oltre alla storia politica italiana, anche lo sviluppo artistico locale introducendo nuove forme ornamentali, in parte desunte dall’arte bizantina.
L’arte longobarda fu anzitutto un’arte decorativa che utilizzò forme semplificate e stilizzate, spesso derivate dalla natura, come intrecci e racemi vegetali, o dall’oreficeria: alcuni capitelli della Chiesa di Sant’Eusebio a Pavia mostrano chiaramente un’ispirazione alla tecnica cloisonné, con spessi bordi di contorno e incavature, probabilmente originariamente riempite di paste vitree o vetri dai colori squillanti.
Questa tecnica tanto apprezzata dall’arte longobarda venne largamente impiegata in oreficeria e in ambito architettonico, trasfigurando la forma classica del capitello di derivazione greco-romana e fondando una nuova tradizione scultoreo-architettonica. L’oreficeria rappresentò una forma d’arte importantissima, tant’è che oggi sono numerose le testimonianze pervenuteci.
Tra i più belli esempi di oreficeria longobarda abbiamo fibule in metallo e oro (ad esempio le fibule a cicala), monete incise, anelli, croci in lamina d’oro a sbalzo e amuleti. Molto interessanti risultano le croci auree, alcune delle quali presentano sui bracci intrecci nastriformi, elementi zoomorfi stilizzati, virgulti vegetali, teste e, in alcuni casi, pietre preziose incastonate, come nell’esempio della Croce di Agilulfo (inizio VII secolo, Monza, Museo e Tesoro del Duomo).
Questo sfarzoso trattamento dei materiali abbina stilisticamente la tradizione germanica a quella bizantina, sicuramente desunta durante la permanenza longobarda in Pannonia.
A questa produzione, in qualche modo si lega anche la decorazione delle armi, sotto forma di scudi ornati, elmi e else di spade. Bellissime testimonianze ne sono la Lamina di Agilulfo (Firenze, Museo del Bargello), illustrata, con un corteo dominato al centro dal re in trono, secondo uno schema di derivazione romana ma rielaborato nella sintetizzazione ed espressività tipicamente longobarde, lo Scudo di Stabio (Berna, Museo), una lamella sagomata di una figura a cavallo originariamente applicata a scudi da parata.
Per quanto concerne la scultura, è riscontrabile la stessa semplificazione caratteristica dell’oreficeria longobarda, da quanto si deduce da alcuni ritratti conservati al Museo del Castello Sforzesco di Milano: si tratta di volti scolpiti in morbidi ovali, dal modellato semplice, ridotto a tratti essenziali ed incisivi.
Due celebri opere scultoree longobarde sono il “Battistero di Callisto” (prima metà dell’VIII secolo, Cividale nel Friuli) e l’“Altare di Ratchis” (Museo Cristiano, Cividale del Friuli), entrambi ascrivibili al periodo della “Rinascenza liutprandea”.
Il battistero presenta una base ottagonale, formata da lastre scolpite, sulle quali poggiano colonnine corinzie sostenenti un tegurio decorato con elementi geometrici, vegetali e animali. Le lastre presentano figure allusive al battesimo, Evangelisti e simboli quali pavoni, grifoni, leoni e agnelli, tutti realizzati con un rilievo piatto, privo di volume effettivo, quasi volesse imitare la tecnica a sbalzo delle lamelle auree. Lo stesso stile si riscontra nell’Altare del duca Ratchis (737-744), costituito da quattro lastre in pietra scolpite bidimensionalmente con scene quali la Visitazione, l’Ascensione di Cristo e l’Adorazione dei magi. Il trattamento delle figure è uniforme: i volti sono allungati e assottigliati verso il mento, sempre in visione frontale, gli occhi sbarrati e tondeggianti, il panneggio lineare, le forme rigide.
Nell’ambito architettonico, sono conservate poche testimonianze a Pavia e nell’area lombarda, con la cripta della Chiesa di Sant’Eusebio a Pavia, il Battistero di San Giovanni a Lomello e la Chiesa di Santa Maria foris portas presso Castelseprio (Varese), che conserva straordinarie pitture ancora oggi molto discusse.
Sempre a nord, celebre è il cosiddetto Tempietto di Cividale (metà VIII secolo), un’aula quadrata (probabilmente nata come cappella palatina) con presbiterio sotto un loggiato a tre campate. Questa struttura è decorata da un bassorilievo in stucco rappresentante alcune sante in processione le cui caratteristiche testimoniano una commistione tra modelli classici e stile longobardo.
Nella Langobardia Minor, a sud, una celebre testimonianza di architettura longobarda è la Santa Sofia di Benevento (760), una chiesa a pianta centrale con un anello sei colonne sorreggenti la cupola, circondato a sua volta da un anello di otto pilastri.
Per quanto riguarda la produzione pittorica, parte delle testimonianze sopravvissute derivano dai ducati longobardi del sud, che vissero la dominazione longobarda fino al X-XI secolo: il più celebre esempio deriva da San Vincenzo al Volturno, nella cui cripta è conservato un ciclo di pitture degli inizi del IX secolo che mostra figure dalla costruzione più naturale (rispetto alla scultura) e dai colori brillanti.
A nord, il maggiore esempio deriva da Santa Maria Foris Portas di Castelseprio, con un ciclo di pitture forse attribuibili ad un maestro di origine bizantina. Le scene rappresentano episodi della vita di Cristo, tratte in parte dai Vangeli apocrifi e illustrate con una tendenza al realismo, anche spaziale, di derivazione classica. I contenuti rivelano che tali pitture sono posteriori alla conversione dei Longobardi dall’Arianesimo al Cristianesimo, voluta dalla regina Teodolinda.
Federica Gennari