MANET E LO SCANDALO DEL DE’JEUNER SUR L’HERBE

 

Édouard Manet

Il 23 gennaio è nato quello che è considerato il maestro del pre-Impressionismo, Édouard Manet (Parigi, 23 gennaio 1832 – Parigi, 30 aprile 1883).  Manet rappresenta un artista anomalo nel panorama della pittura dell’Ottocento francese: se da una parte si è voluto spesso inquadrarlo nel sistema impressionista, dall’altra, l’artista stesso ha sempre rifiutato ogni tipo di identificazione pittorica, soprattutto con il movimento stesso. Nato a Parigi il 23 gennaio 1832, Manet si formò presso il pittore T. Couture, dal quale apprese i rudimenti artistici, improntati a un rigoroso accademismo: lasciato lo studio del maestro nel 1856, intraprese diversi viaggi visitando la Germania, l’Austria, la Spagna, l’Olanda e l’Italia, avendo modo così di conoscere le opere dei grandi maestri antichi e moderni. L’avvicinamento e l’amicizia con diverse importanti personalità dell’Impressionismo francese, quali Renoir, Pissarro, Monet e Degas, lo portarono alla sperimentazione della pittura in plein-air, elemento essenziale per l’ambientazione delle opere dell’artista. A caratterizzare le tele di Manet, contribuì inoltre la concezione spaziale bidimensionale delle stampe giapponesi, notevolmente diffuse e apprezzate all’epoca: l’uso esclusivo della linea di contorno come meccanismo di qualificazione spaziale fu adottato anche da Manet che ne fece uso all’interno di un contesto artistico isolato dal panorama contemporaneo. Nonostante la produzione matura di Manet abbia trovato sempre grandi difficoltà ad essere compresa ed accettata, le prime opere del pittore furono ben accolte dalla critica: nel 1856 aprì il suo studio, nel quale lavorò a tele a soggetto realista, ritratte con pennellate libere e leggere. Le tematiche affrontate nel primo periodo toccano spesso la sfera sociale: Il bevitore d’assenzio (1859), un uomo in abito scuro seduto ai bordi della strada, ritratto con un bicchiere d’assenzio, il Chitarrista spagnolo (1860), caratterizzato da un forte realismo, la Cantante di strada (1862), un’artista colta all’uscita da un locale, mentre mangia ciliegie. Nonostante i soggetti quotidiani, la resa pittorica di Manet si concentra primariamente sull’attenzione realista e sul ritratto su fondo neutro, elementi che vanno a segnare la maggior parte delle opere del primo periodo. Nel 1863 si ebbe la svolta, con grande clamore della critica: Manet propose al Salon la celebre Colazione sull’erba, una vera e propria rivoluzione nella carriera dell’artista che gli costò il rifiuto e il ripiego al Salon des Refusés. A suscitare l’indignazione e lo scandalo della critica fu la scelta operata dal pittore di combinare, apparentemente senza senso, uomini ben vestiti e donne nude in un paesaggio naturale, allusione erotica contestualizzata nel contemporaneo, come denunciano gli abiti indossati dai protagonisti. La secondaria rinuncia all’effetto prospettico e l’imprecisione di certi dettagli non poterono che sancire il rifiuto ufficiale della critica, che non seppe comunque cogliere il richiamo ai grandi maestri del Rinascimento italiano. Con la stessa reazione fu accolta l’Olympia (1863), il ritratto sensuale di una donna stesa sul letto, colta in completa nudità. Lo sguardo diretto, quasi spudorato, e gli accessori indossati, fanno pensare ad una prostituta che, ironicamente, si copre il pube con una mano. Partendo da una precisa allusione alla Venere di Urbino di Tiziano, Manet elaborò un soggetto nuovo, con forme distanti dal classicismo, favorendo una nuova bidimensionalità e un innovativo trattamento del colore, privilegiante l’opposizione di bianco e nero. L’impiego del nero, rifiutato dall’Impressionismo, si riscontra anche ne Il balcone (1868), tratto da Goya, come l’Esecuzione dell’imperatore Massimiliano, ispirata in parte all’opera La fucilazione dell’8 maggio 1808. La rivoluzione tecnica e tematica di Manet fu compresa solo dal movimento impressionista, anch’esso escluso dal mondo artistico ufficiale: dal canto suo però, Manet rimase sempre distaccato dai colleghi ed amici impressionisti, con i quali non espose mai. Dalla fine degli anni Sessanta, Manet iniziò a dedicarsi a tematiche mondane, ambientate in scenari en plein-air: la frequentazione dei giardini delle Tuileries, presso il Louvre lo portò ad una continua e diretta osservazione della vita sociale, tradotta sulla tela con scene di locali, letture, passeggiate… L’esplorazione della vita pubblica lo portò a scoprire nuove tematiche, ritratte con rapidi schizzi dal vivo, elaborati in un secondo tempo in studio. Nella prima metà degli anni Settanta l’ambiente borghese lo portò a ritrarre scene di ballo, balli in maschera (come il Ballo mascherato all’Opera, 1873), scenari urbani (La ferrovia, 1872), spesso realizzati con una tecnica che, pur rifiutando teoricamente l’Impressionismo, vi si accosta adottando un tocco leggero e rapido. L’interesse per la vita pubblica si ritrova anche ne Il bar delle Folies-Bergère (1882), esposto da Manet al Salon:           il realismo del pennello indugia a ritrarre una barista dietro al bancone, immersa nelle luci e nei dettagli scintillanti del locale, riflessi nel grande specchio alle sue spalle. Alla frizzante atmosfera dell’ambiente si oppone lo sguardo perso e stranito della protagonista che, collocato al centro della composizione, calamita l’attenzione dello spettatore, spingendolo nel vortice di malinconia interiore e disperdendo il clima allegro del contesto. Èdouard Manet dipinse fino alla morte, sopravvenuta il 30 aprile 1883 a causa della sifilide e dei reumatismi che, peggiorando, lo portarono all’amputazione di un piede e al coma.

Federica Gennari