Pierre-Auguste Renoir (Limoges, 25 febbraio 1841 – Cagnes-sur-Mer, 3 dicembre 1919) è considerato tutt’oggi uno dei più celebri esponenti dell’Impressionismo francese. Nato a Limoges, si trasferì trentenne a Parigi dove nel 1862 entrò alla Scuola di Belle Arti ed ebbe modo di seguire i corsi di Emile Signal e Charles Gleyre: qui conobbe, tra l’altro, importanti personalità quali Monet, Bazille e Sisley. Pochi anni dopo fu ammesso anche al Salon e nel 1873 fondò, con altri pittori, la Società anonima cooperativa degli artisti che si occupò successivamente di organizzare la prima celebre esposizione impressionista presso lo studio dell’amico fotografo Nadar. La successiva esposizione al Salon del 1874 suscitò un vero scandalo presso la critica e i visitatori, che non compresero l’innovazione formale e coloristica impressionista.I primi lavori di Renoir rivelano influenze di Corot e Delacroix, soprattutto nella luminosità e nel colorismo, ma anche di Gustave Courbet e di Edouard Manet, dai quali deduce l’uso del nero in pittura. Celebre fu la sua avversione per Paul Gauguin e Vincent Van Gogh, mentre fu profondamente legato a Amedeo Modigliani, che frequentò in diverse occasioni il suo studio. La pittura di Renoir si caratterizzò ben presto per una peculiare gioia di vivere resa anzitutto dalla luce vibrante e dai veloci tocchi di colore, in grado di unificare gli sfondi e le figure. Sentì pertanto l’urgenza d’immortalare sulla tela la fuggevolezza dell’impressione visiva e della memoria, tutta la bellezza e la gioia di vivere meritevole di essere ritratta, con un colorismo vivo e acceso.
Importantissima fu l’esperienza del plein-air, praticato a Fontainebleau insieme a Claude Monet e altri artisti, che permise di introdurre un’innovazione pittorica fondamentale per l’impressionismo: lo studio dal vero e l’ombra colorata, quale riflesso del colore degli oggetti. La pittura precedente, infatti, era sempre stata intimamente legata al lavoro di studio, ma nel 1864 questo gruppo di artisti decise d’infrangere tale barriera per scoprire la pittura dal vero, all’aria aperta.
Nel 1867 realizzò una delle tele più celebri, il Ballo al Moulin de la Galette, che ritrae le danze in un giardino parigino nei pressi di Montmartre frequentato dall’artista.
In questo caso, la tecnica impressionista si traduce nello sfumare dei contorni delle figure e degli oggetti, in una mescolanza di colori che riesce a concretizzare l’effetto dinamico della scena. Tutta l’atmosfera festosa e spensierata è resa dal colore vibrante che, tra giochi di luce (filtrata dagli alberi), ombre e riflessi, si espande in un movimento gioioso e frizzante.
Gli stessi straordinari effetti luministici si riscontrano anche nella Colazione in riva al fiume (1876, Chicago, The Art Institut), dove tre personaggi seduti sotto un pergolato fanno colazione nei pressi del fiume.
Qui la luce macchia letteralmente gli abiti, la tovaglia e i volti, trasmettendo tutta l’atmosfera e la piacevolezza di una calda e rigogliosa giornata di primavera.
La Grenouilère (1869, Stoccolma, Nationalmuseum) torna sul tema della vita mondana parigina: il luogo è un celebre ritrovo sulla Senna e viene scelto dall’artista non solo per l’atmosfera gioiosa, resa come sempre dai colori accesi e dalle pennellate veloci, ma anche per la vicinanza al fiume, luogo ideale per lo studio degli effetti luministici dell’acqua, tema molto apprezzato dagli impressionisti.
Del 1870 è invece l’opera La rosa (Parigi, Museo del Louvre), che ritrae una donna dalle forme piene e dall’aria innocente, secondo una tipologia che fu molto apprezzata e riprodotta dall’artista.
In questo periodo l’artista realizzò anche La loggia (1874, Londra, Tate Gallery), L’altalena (1876, Parigi, Museo Jeu de Paume),
La lettrice (1875-76, Parigi, Museo Jeu de Paume) e I canottieri a Chatou (1879, Washington, National Gallery of Art).
Il viaggio in Italia (1881) segnò un’importante svolta nello stile dell’artista, portandolo verso una maggiore definizione delle forme e una decisa linearità, estranea alle opere precedenti. Quest’esperienza gli permise di conoscere, infatti, l’arte antica e i grandi maestri rinascimentali (soprattutto Raffaello), che determinarono uno stravolgimento stilistico del primo impressionismo verso una concretizzazione formale, lo studio della linea e dei volumi. Fu così che alla luminosità coloristica del primo Renoir vennero a sostituirsi tonalità più spente e fredde. Tale cambiamento caratterizzò le opere fino al 1890, quando Renoir tornò allo stile originario, ai colori frizzanti, ai contorni indefiniti e alla luce diffusa.
I risultati del viaggio italiano si riscontrano in Ballo in campagna (1883, Parigi, Musée d’Orsay), dove le forme si solidificano a definire il volume dei corpi. Le pennellate perdono la freschezza e la dinamicità impressionista, i toni si scuriscono toccando note sconosciute ad un’opera come al luminoso Ballo al Moulin de la Galette.
Lo stesso trattamento coloristico si nota in Gli Ombrelli (1881-1886, Londra, National Gallery), un’opera realizzata in due momenti distinti che ne rendono una parte più vicina alla tecnica veloce e vivace impressionista, e un’altra più prossima all’accademismo appreso e assimilato durante il viaggio in Italia.
Nel periodo successivo, a partire dagli anni Novanta, si dedicò a tematiche più intime, con numerosi ritratti, scene di nudo e realtà quotidiane. Grazie a Durand-Ruel, che s’impegnò a far conoscere gli impressionisti organizzando mostre, l’artista ottenne una certa stabilità finanziaria e ritornò alle tele vivaci del periodo precedente.
A questa nuova fase si ascrivono ritratti quali il Ritratto di Mallarmé (1892, Parigi, Musée National des Châteaux), Gabrielle et Jean e Ritratto di Ambroise Vollard.
All’ultima fase (dopo il 1909-1910) risalgono i frequenti soggetti femminili e i nudi: tra i più celebri abbiamo il Nudo di donna visto di schiena e Le bagnanti (1918, Parigi, Musée d’Orsay). In particolare, in quest’opera rappresentò alcune bagnanti in nudità, con una naturalezza priva di inibizioni: i colori sono soffici e delicati come quelli del primo Renoir, ma privi del vibrante effetto luministico in grado d’infondere dinamismo alle scene ritratte.
La perdita di spessore di alcune opere fu determinata dalla malattia che colpì l’artista: indebolito dall’artrite, dal 1912 ebbe grandi difficoltà a dipingere, tant’è che si fece legare i pennelli ai polsi per non interrompere l’attività.
Morì nel 1919.
Federica Gennari