In un sudicio cunicolo di pochi metri finisce il la parabola umana e politica di Saddam Hussein un dittatore in fuga da un paese allo sbando. La cattura, avvenuta il 13 dicembre del 2003, venne favorita da uno dei suoi fedelissimi ed è emblematico che il sanguinario e avido tiranno sia stato battuto proprio dalla avidità di uno dei suoi uomini, allettato dalla taglia americana di 25 milioni di dollari che avrebbe ricompensato chi avesse fornito informazioni utili alla cattura. Le immagini del blitz nell’epoca della comunicazione globale fecero il giro del mondo e restituirono un tiranno spaesato, con la barba lunga e gli occhi spauriti. Il tenente Ricardo Sanchez l’uomo che lo prese in consegna, lo definì un uomo stanco e rassegnato che cercava di trattare la resa come se fosse possibile trattare la libertà con 600 uomini impiegati nell’operazione,semplicemente in cambio della borsa piena di denaro che aveva con se nel rifugio sotterraneo. Il video della cattura, o meglio, del dopo cattura, fece il giro del mondo. L’uomo che per trentacinque anni aveva governato con ferocia l’Iraq, apriva docilmente la bocca per farsi visitare dal medico militare che, con un certa ruvidezza, cercava anche pidocchi tra i capelli e la barba incolta. Forse, più delle disfatte militari, proprio quelle immagini hanno decretato la fine del mito di Saddam, anche tra le popolazioni arabe che in lui avevano riconosciuto comunque l’uomo forte. Quelli che si aspettavano il prode guerriero disposto a tutto pur di preservare l’onore è stato deluso dalla umanissima paura di morire. Il timore del vecchio dittatore si rivelerà fondato perché Saddam Hussein viene riconosciuto colpevole da un tribunale speciale iracheno per crimini contro l’umanità e giustiziato per impiccagione il 30 dicembre 2006. Anche questo secondo evento non ci è stato risparmiato, e il video girato con un telefonino testimoniò la brutalità della esecuzione, ammesso che possa esistere una esecuzione non brutale. L’asso di picche” (cosi era stato nominato Hussein dagli americani) venne quindi neutralizzato per sempre da quegli stessi americani che per anni fornirono armamenti sofisticati all’Iraq per la sanguinosa guerra contro l’Iran e verrà processato non da un tribunale internazionale ma da una corte irachena, presieduta da un giudice curdo, un uomo cioè appartenente ad una etnia ferocemente perseguitata dal dittatore. Il capo di imputazione fu quello relativo ad una strage ordinata da Hussein nel 1982 nella quale morirono 148 persone appartenenti alla etnia sciita. Il processo durò un anno, durante il quale Saddam cercò molte volte di non riconoscere l’autorità del tribunale. Le cose andarono come sappiamo,e il nuovo Iraq processò il vecchio, ma se guardiamo a questo paese oggi, possiamo solo affermare con certezza che la soluzione dei conflitti interni tra sunniti sciiti e curdi è ancora lontana da una soluzione.
Fabio D’Andrea