Rubato un anno di vita ma riesce lo stesso ad essere produttivo e creativo.

13 ottobre 2012, Piazza Roma, Centro di Cremona. Silenzio e pochi rumori di auto (la zona è Ztl). Io sono diretto verso una di queste case non troppo alte, in un appartamento al secondo e ultimo piano in un contesto caratteristico cremonese. I gradini delle scale non sono molti e vale la pena di farla a piedi perché poi lo sguardo si allarga ai tetti delle case vicine, tutti coperti da tegole semicircolari. Ad accogliermi, sul ballatoio a ringhiera, l’abbaiare festoso di un cane, che come lo raggiungo mi porta una palla da tennis, come a dirmi “dai, tiramela che così mi muovo un po’”. A fermarci è una voce. “Dai, Neyla, tranquilla”. La voce è quella di Arman Golapyan che abita in questa mansarda tipicamente cremonese. Alla ringhiera, noto con la coda dell’occhio mentre gli do la mia mano da stringere, molti vasi di surfinia: ancora belli fioriti grazie a questo splendido ottobre, ma anche, e soprattutto, perché qualcuno annaffia con regolarità e con regolarità toglie i fiori appassiti. Se si tolgono quelli appassiti la pianta ne produce di nuovi più velocemente. Arman Golapyan, è lui il padrone di casa, mi invita a entrare. L’arredamento mostra pezzi che attirano piacevolmente la mia attenzione: due angioletti del 600 laccati in oro zecchino alti una settantina di centimetri, una cornice enorme, senza alcun quadro al suo interno, appoggiata al muro dietro la scrivania del Settecento, su cui poggia il suo inconfondibile Mac portatile. Arman nota le mie occhiate: e mi dice che gli fa piacere ed ha bisogno di essere circondato da pezzi unici nel loro genere. Dalla piccola cucina appare una figura femminile. “Mia madre, Tahereh Makary“. E’ una signora che porta splendidamente i suoi anni, lo sguardo severo ma amichevole di chi non ha niente da nascondere e ama la franchezza come stile di vita. “Lei invece si chiama Neyla”, mi dice Arman indicando il cane che ci ha seguito all’interno sempre tenendosi in bocca la pallina da tennis. “Ha quasi tre anni è stata un regalo molto apprezzato. E’ un po’ ingrassata perché da un po’ di tempo si muove molto meno: prima era spesso in giro con me dovunque la potevo portare, sapeva riconoscere il colore del semaforo e ovviamente attraversava con il verde. Ma oggi esce solo due volte al giorno, grazie all’aiuto di alcuni amici”.

Neyla esce, Arman invece no: “Oggi è esattamente un anno che sono agli arresti domiciliari e quindi non posso uscire. Devo dire che io sono il derubato sia della mia libertà sia economicamente, sono quello che ha sempre finanziato l’azienda e sono trattato, da chi dovrebbe giudicarmi, da eventuale colpevole ma senza nessuna prova e fatto concreto.
Ma io continuo a credere nella giustizia e molto meno nei giustizieri, sono convinto che il processo che si sta celebrando in questo periodo a Milano ristabilirà i fatti come sono e tutto tornerà come prima. Anzi, meglio di prima perché chi ha sbagliato nei miei confronti dovrà farne ammenda”.
Facciamo un passo indietro, all’inizio.
Dove e quando è nato?
“A Teheran, il 20 luglio 1967. Mio padre, Gholom Hossein, era una delle persone di fiducia del monarca”.

Cosa si ricorda dei suoi primi anni?
“Ero un bambino felice, anche se vedevo poco mio padre, spesso via per incarico di qualche dignitario dello Scià, ma mia madre è sempre stata molto presente. Avevamo dei cavalli e mi piaceva molto montare. E poi ricordo un fiume che andava a finire in una grotta, scomparendo alla vista: quanti viaggi immaginari ho fatto seguendo il suo tragitto sconosciuto!”

Quando è arrivato in Europa?
“Quando la rivoluzione islamica ha deposto lo Scià, abbiamo dovuto scappare in fretta e furia dall’Iran. Io avevo 11 anni e mezzo e mio padre era morto 4 anni prima, portato via da una malattia. Il rischio era quello, restando, di essere condannati a morte, come capitò ad altri maschi della mia famiglia, che non fecero in tempo a fuggire: mio zio e due miei cugini”.

Come mai la scelta cadde sull’Italia?
“C’eravamo già stati prima in vacanza ed è molto difficile che l’italia non piaccia, e così arrivai a Piacenza, dove ho continuato le elementari che avevo iniziato a Teheran, poi le medie e le superiori. Mia madre è sempre stata una figura di riferimento per me e anche il ricordo di mio padre. Ancora oggi chi l’ha conosciuto ne ricorda la sua decisione e il suo carisma. E quando qualcuno mi dice che gli rassomiglio un po’ ne vado estremamente orgoglioso”.

Che tipo era al liceo?
“Mi piaceva divertirmi e mi piaceva molto meno studiare. Per questo a 19 anni dissi a mia madre che volevo mollare la scuola e mettermi a lavorare. Lei mi guardò negli occhi e mi disse una frase che ancora oggidì ricordo. ‘Ho fatto tanti sacrifici per te. Comportati sempre con dignità e non fare proposte che tu per primo non accetteresti se te le facesse qualcun altro’. E questo cerco di non dimenticarlo mai”.

Con cosa ha iniziato?
“Con quello che conoscevo meglio: i tappeti e gli arazzi, che importavo e vendevo. Ho organizzato anche qualche mostra per esporre quelli più belli. Ma oltre a venderli, ho scoperto ben presto il gusto e la gioia di farli restaurare, per riportarli al loro antico splendore. Poi nel 1998, grazie a un quadro di Van Gogh, ho scoperto anche la pittura e ho cominciato a interessarmi dei dipinti.
Le cose andavano sempre meglio e ho fondato prima la Museum Spa e poi la Arman Golapyan Spa”.
Ma anche la moda è al centro della sua attività, a un certo punto…
“Sì, perché la moda è creatività come l’arte.

Altri progetti?
“Il Magazine www.venividivici.us che sarà il megafono delle mie idee e filosofia che raccoglierà tutti coloro che amano le cose belle, il bene più del male e che guardano al futuro senza dimenticare la storia che abbiamo alle spalle e che ci può insegnare tanto. Ma in questo momento il progetto più importante è quello di vincere in tribunale per tornare a essere un uomo libero nei movimenti, oltre che nella testa”.

E’ stata dura questa storia?
“Certo, anche penosa, mi ha dato momenti di sconforto soprattutto perché è tutto sbagliato. Una situazione kafkiana, che ti fa sentire prigioniero della malafede e della cattiveria, che troppo spesso sembrano imbattibili… Oltre a questo però, mi ha fatto scoprire i veri amici, un rapporto con la persona che ami più vera e poi che è giusto pensare anche agli altri, a chi è meno fortunato di te…”.

Chiudiamo con una raffica di domande “leggere”. Sport?
“Fino a 19 anni fa l’equitazione, poi ho capito che non avevo più tempo. Perché a cavallo ci devi andare tutti i giorni e il lavoro non me lo permetteva”

Musica?
“Mi piace tutta, perché la musica dà grandi emozioni, sa allargarti la mente e il cuore. E a proposito di emozioni, amo in modo particolare l’accelerazione. No, non la velocità, ma proprio l’accelerazione. Per capirci: non piace andare a 300 chilometri all’ora, ma arrivare nel più breve tempo possibile a quella velocità. E poi alzare il piede”.

Libri?
“Non mi piace leggere, anche se mi tengo informato”.

Altri interessi?
“Ho sempre amato andare per mercatini a cercare quello che mi piace e più di una volta ho scoperto anche oggetti di valore, che ho fatto restaurare”.

L’intervista è finita. Neyla, che si è accucciata accanto a noi con l’istinto tipico dei cani, ha capito che è arrivato il momento di riprendere la pallina da tennis in bocca e riprovarci…

Alfredo Rossi