Nel febbraio del 1888 Vincent Van Gogh si trasferisce ad Arles, presso Place Lamartine: la campagna provenzale lo ispira, la natura lo stimola alla pittura e questo entusiasmo lo spinge a realizzare un’incessante serie di tele. I colori della campagna francese lo seducono, la vita notturna lo coinvolge e la sua permanenza nella cittadina si rivela fruttuosa, nell’attesa dell’arrivo dell’amico Paul Gauguin, nel sogno di formare insieme un’associazione di pittori e artisti. Van Gogh frequenta i caffè locali, tra i quali il il Cafè de place du Forum, che, una sera di settembre, decide di ritrarre: con il cavalletto sistemato in mezzo alla via, l’artista inizia a tratteggiare un cielo blu profondo di fine estate, punteggiato di stelle che paiono riflettere le luci del locale e delle finestre. La terrazza esterna è illuminata da una luce calda che accende la parete, rimbalzando sul ciottolato inumidito dalla notte “les pavés de la rue prend una teinte de violet rose”. La strada è quasi deserta ma diversi avventori si intrattengono ancora, seduti ai tavolini della terrazza sorseggiando forse un liquore e discutendo, mentre un cameriere si sofferma a prendere le ordinazioni. Non sono precise identità: sono elementi di un paesaggio, piccole figure che animano questo placido scenario cittadino notturno della Francia meridionale. Il tratto espressivo e frammentario di Van Gogh sembra farsi più sereno ed omogeneo, ammorbidito dai toni caldi e dall’atmosfera sognante di fine estate. Vincent scrive alla sorella Wilhelmina: “Cela m’amuse énormément de peindre la nuit sur la place”, rivelando tutto il suo piacere nel ritrarre questo soggetto, dipinto senza disegno preparatorio, nell’immediatezza della visione “autrefois on dessinait et peignait le jour d’après le dessin. Mais moi je m’en trouve bien de peindre la chose immédiatement”. I colori impiegati sono il blu, il giallo, il violetto e il verde, tonalità alterate che rappresentano, secondo l’artista, il solo modo per allontanarsi dalla rappresentazione convenzionale della notte nera e della luce biancastra. Van Gogh si trova a dipingere i locali di Arles in altre occasioni: se confrontiamo però la Terrasse du Café con l’opera Le Cafè, la nuit (1888, Art Gallery, Yale University), rappresentante un locale di place Lamartine, è evidente la differente impressione dell’artista che, con i toni accesi (giocati sul rosso-giallo-verde) dell’interno, ha voluto conferire una drammaticità assente nella tela precedente. Al fratello Theo, infatti, rivela: “[…] Ho voluto esprimere col rosso e verde le terribili passioni umane […] sottolineare come il caffè è un luogo in cui ci si possa rovinare, diventar pazzi”. Un’atmosfera quasi infernale, carica di disperazione e isolamento, un luogo lontano anni luce dalla placida notte di place du Forum. Per chi volesse ripercorrere le orme del grande artista, il Café di place du Forum è ancora esistente, con la sua Terrasse aperta sulla via di Arles. È stato ribattezzato Café Van Gogh dopo recenti restauri (1990) volti a rendere il locale il più simile possibile al dipinto: ad esempio, la parete esterna è stata dipinta di giallo, nonostante il colore conferito dal pittore fosse dovuto alla calda illuminazione della lanterna. Un’ottima occasione per tornare all’Ottocento, vivere l’atmosfera notturna vissuta e captata dal grande pittore olandese che, lo ricordiamo, rimase ad Arles fino al maggio dell’anno successivo, il 1889, quando decise di farsi ricoverare alla Maison de santé, un ospedale psichiatrico a Saint-Rémy-de-Provence. Ciò che lo spinse, furono i drammatici eventi del dicembre precedente, quando Van Gogh, entrato in conflitto con Gauguin (insofferente alla vita ad Arles e rifiutatosi di aderire all’associazione artistica auspicata da Vincent), lo aggredì scagliandogli contro un bicchiere, che Gauguin riuscì ad evitare. In una seconda occasione, dopo alcuni litigi, Van Gogh rincorse il collega con un rasoio ma, abbandonato l’intento, rientrò a casa e, in preda alle allucinazioni, si tagliò parte dell’orecchio sinistro. Un episodio nato dalla delusione, dall’incomprensione e dalla follia. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia…
Federica Gennari