Nella definizione che amava dare di sé, c’è gran parte del suo personaggio. Sono il giornalaio più famoso d’Italia» ha ripetuto Gianfranco Funari (Roma, 21 marzo 1932 – Milano, 12 luglio 2008) per anni a chiunque gli abbia chiesto lumi sulla sua reale professione. Del resto non era certamente un autore, mestiere troppo intellettuale. Un comico nemmeno, troppo amare le sue risate. Magari, a modo suo, era un giornalista televisivo, di certo qualcosa di simile a un opinionista. Ma dato che il fine ultimo di tutta il suo sbraitare e il suo agitarsi altro non era che coinvolgere la gente della porta accanto, quale mestiere meglio del giornalaio per stare vicini all’uomo da marciapiede?
Nato a Roma nel 1932, Funari era figlio di un vetturino, mestiere che alla famiglia aveva procurato una certa fortuna. «Mio bisnonno era il cocchiere ufficiale di Pio IX» rivelò in un intervista del 1994. Ancora giovanissimo, si dedicò alla carriera di croupier al casinò di Saint Vincent e in seguito di Hong Kong. Tornato in Italia, si fece notare nei locali della capitale, dove si esibì spesso in divertenti monologhi improvvisati. Lo volle con sé per primo Oreste Lionello, che lo introdusse nel giro dei cabaret importanti, e quindi entrò nel gruppo di artisti del Derby, lo storico tempio milanese della comicità. Siamo alla fine degli anni ’60, e la specialità di Funari a questo punto è la satira politica e di costume. La prima avventura televisiva risale al 1970, quando è invitato a La domenica è un’altra cosa. Per la prima conduzione bisogna invece attendere il 1980, quando su Telemontecarlo va in onda Torti in faccia, prototipo di tutta la televisione urlata e popolare che sarà il suo marchio di fabbrica e banco di prova per il vero successo di Aboccaperta, programma di culto del 1983 che nel 1984 traslocherà su Raidue. Format capostipite di tutti i cosiddetti talk-rissa, l’idea ra di animare in studio accese discussioni intorno agli argomenti più disparati. Dalla politica al sesso, dall’attualità ai luoghi comuni. Trasversali anche gli ospiti: pensionati, tassisti ma anche personalità dello spettacolo, della cultura e delle istituzioni (un invito a La Malfa sgradito ai vertici di viale Mazzini gli costò il posto in Rai). Persona rumorosa, senza filtri, spesso volgare, ma anche diretta, dotata di una speciale sensibilità per gli stravaganti umori del popolo italiano, Funari negli anni perfeziona un incredibile maschera televisiva capace di inchiodare milioni di telespettatori di fronte a interminabili monologhi. Fumatore incallito (cinque by-pass esibiti fino all’ultimo quasi con orgoglio), il suo balletto tra le telecamere (“dammi la 2”) mentre si toglie la giacca e si rimbocca le maniche della camicia pronto a darsi in pasto a una nuova polemica, come una specie di martire, è entrato nell’immaginario collettivo. Scomodo, irascibile, ha litigato con tutti i suoi editori, compreso Berlusconi, con tutti gli schieramenti politici, con tutti i colleghi. L’unico rapporto che negli anni non si è mai incrinato è quello con la gente, con la “signora”, la “casalinga”, il “dottore”, con i personaggi del suo teatro popolare che invocava dal teleschermo fissandoli da dietro gli occhiali fumè.
Imitato decine e decine di volte ma clonato mai, si è spento a Milano nel 2008. Con sé nel feretro ha voluto tre pacchetti di sigarette, un accendino e una manciata di fiches.
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David Zahedi