GIULIO CESARE

Un vero simmbolo della storia, nasce a Roma il 13 luglio 101 a.c. e viene barbaramente assassinato al senato il 15 marzo 44 a.c, una grande personalità politica, un grande generale, console, dittatore, oratore e scrittore romano, considerato uno dei personaggi più importanti e influenti della storia.
Gaio Giulio Cesare, della gens Iulia, celebre famiglia romana, iniziò la sua carriera politica grazie al rapporto con lo zio Gaio Mario, capo e rappresentante dei populares, ai quali Cesare stesso aderì sin dagli inizi. Durante la dittatura di Silla, rivale rappresentante del partito aristocratico e senatorio, Cesare ebbe notevoli difficoltà, tant’è che lasciò Roma per prestare servizio militare in Asia, dove si distinse per il coraggio ed il valore. Con la morte di Silla (78 a.C.), Cesare rientrò a Roma, tenendosi comunque lontano dalle ribellioni e insurrezioni anti-sillane del momento, impegnandosi piuttosto nella carriera forense, grazie alla quale si affermò quale rappresentante del partito dei populares. Recatosi a Rodi, proseguì successivamente per Mileto dove partecipò alla guerra contro Mitridate VI del Pon to e ottenne, nel 73 a.C., una carica quale membro del collegio dei pontefici. Dopo questa parentesi asiatica, tornato a Roma divenne tribuno militare, sostenendo il partito dei populares  nel ripristino della tribunicia potestas, ridotta da Silla. Nell’ambito della generale dissoluzione della costituzione sillana, Cesare venne eletto prima questore (69 a.C.), poi edile curule (65 a.C), affermandosi definitivamente quale capo dei populares. L’elezione a pontefice massimo nel 63 a.C., carica di grandissimo rilievo ottenuta con una vittoria schiacciante, corrispose anche alla comparsa sulla scena politica di Lucio Sergio Catilina che, tentando la presa di potere, aveva già organizzato, nel 65 a.C, una prima congiura (poi fallita) a favore di Crasso e Cesare. La seconda congiura (63 a.C.) fu scoperta ma grazie alla difesa di Cicerone e ad alcuni celebri discorsi di difesa, Cesare fu scagionato, nonostante la probabile partecipazione al fatto. Eletto pretore (61 a.C.) e governatore della Spagna ulteriore, nel 60 a.C si candidò al consolato, al quale fu eletto nell’anno successivo. Con grande abilità politica, Cesare stipulò un accordo privato di alleanza con Crasso (ricco esponente dei cavalieri) e Pompeo (generale di successo), dando vita al primo Triumvirato: al primo, Cesare concesse la riduzione del canone per le imposte asiatiche in cambio del finanziamento della candidatura; al secondo, per avere l’appoggio e il sostegno promesso, garantì la distribuzione delle terre ai veterani e la ratifica dei provvedimenti presi in Oriente. Durante il consolato fondò nuove colonie, promulgò e riformò alcune leggi e soprattutto si occupò della Gallia, della quale ottenne il proconsolato insieme all’Illirico e alla provincia Narbonense. Prima di partire per la Gallia, al fine di garantire l’impotenza del Senato durante la sua assenza, affidò gli affari a Lucio Cornelio Balbo e incaricò Publio Clodio Pulcro di allontanare da Roma Cicerone e Marco Porcio Catone, rappresentante dell’aristocrazia senatoria. In Gallia, Cesare dovette anzitutto affrontare l’avanzata degli Elvezi che si accingevano ad attraversare la zona Narbonense; in un secondo momento, il timore di un’invasione dei Germani di Ariovisto spinse i Galli a richiedere l’intervento di Cesare che, vincendo, assicurò il suo potere e impose il Reno quale confine tra Gallia e territori germanici. Si occupò inoltre di altre popolazioni, sconfiggendo i Belgi, i Veneti e le popolazioni della costa atlantica (57-56 a.C.). Arginati nuovamente i Germani, Cesare tentò con successo l’invasione della Britannia, affrontando però frequenti ribellioni e attacchi, risolti militarmente e stipulando molti rapporti di clientela. Marciò inoltre contro Menapi, Eburoni e Treviri. Nel 52 a.C però, Vercingetorige, capo degli Arverni, riuscì a raccogliere i popoli celti e gli Edui, storici alleati romani, e guidò una rivolta contro Cesare: questi rispose nell’immediato con la distruzione della città di Avarico; in un secondo momento, raggiunto Vercingetorige ad Alesia, lo sconfisse, costringendolo a consegnarsi. Risolto il grande nodo gallico, nel 50 a.C la Gallia fu dichiarata provincia romana e Cesare poté fare ritorno a Roma, dove però la situazione era nettamente peggiorata. Varcato il Rubicone, il Senato, appoggiandosi a Pompeo, dichiarò guerra a Cesare nel 49 a.C., dando il via alla Guerra civile. Il Senato, infatti, intimorito dai successi di Cesare, aveva sostenuto Pompeo e aveva cercato di ostacolare la politica cesariana, eleggendo consoli alcuni nemici dei populares. Osteggiato dal Senato, Cesare incaricò alcuni tribuni della plebe di opporre il veto alle leggi senatoriali ma questi furono costretti a fuggire da Roma. Il 10 gennaio Cesare, con le sue legioni, attraversò il fiume Rubicone, confine italiano, pronunciando la celebre frase “alea iacta est”: un atto di pubblico affronto alla res publica, una vera e propria dichiarazione di guerra. Cesare percorse senza esito la costa adriatica la fine di raggiungere Pompeo, rifugiatosi in Puglia e poi a Durazzo; il conflitto, dopo la campagna contro i pompeiani in Spagna e Provenza, riprese nel 48 a.C., quando Cesare sbarcò a Durazzo e venne sconfitto. Il 9 agosto però Pompeo venne definitivamente vinto a Farsalo e si rifugiò in Egitto, dove fu ucciso per ordine di Tolomeo XIII. Recatosi in Egitto, Cesare prese le parti di Cleopatra nella lotta per la successione dinastica con Tolomeo e questo provocò la reazione degli alessandrini che costrinsero Cesare a rimanere asserragliato nel palazzo reale per mesi. Liberato dall’assedio, dovette occuparsi dei pompeiani in Africa, guidati da Catone l’Uticense, sconfitti nel 46 a.C. A Roma, Cesare venne accolto come un eroe, le sue qualità militari ampiamente celebrate (un esempio fu il motto “Veni, Vidi, Vici – venni, vidi, vinsi”, allusione alle fulminea vittoria in Ponto), il successo sancito con trionfi, banchetti e spettacoli. Facendo uso dei bottini di guerra, elargì denaro al popolo e ai legionari, avviò un censimento e fondò nuove colonie. L’anno seguente si occupò anche dei pompeiani riorganizzatisi in Spagna (sotto il comando dei figli di Pompeo), che, anche se con una certa difficoltà, vinse. Negli anni successivi ricoprì la carica di dittatore e console: in quel periodo  estese la cittadinanza romana agli abitanti della Gallia Cisalpina, aumentò il numero dei senatori, aumentò il numero dei magistrati (riservandosi il diritto di nominarne la metà) e revisionò l’organizzazione dei municipi italiani (e l’amministrazione provinciale). Un’attenta politica economica, una politica estera di successo (soprattutto con la sottomissione delle popolazioni celtiche), una curata strategia militare (attenta sia all’individuazione preventiva delle aree critiche, alla difesa strategica dei confini e al rapporto di stima e rispetto con i soldati, sancito con un premio di congedo) sancirono il successo di Giulio Cesare e, di conseguenza, l’insorgenza di una sempre più forte corrente nemica che riuscì a organizzare una congiura ai suoi danni. Gaio Cassio Longino, infatti, con l’appoggio di Cassio e Marco Giunio Bruto ordì la congiura contro Cesare, la cui morte sarebbe stata preannunciata da numerosi presagi. Il 15 marzo Cesare si recò in senato dove trovò la morte: i congiurati, avvicinandosi a lui, lo colpirono, anticipati da Publio Servilio Casca Longo. Cesare, cosciente di non avere scampo, ferito da oltre venti pugnalate, si accasciò e, riconosciuto Bruto tra gli aggressori, pronunciò le sue ultime celebri parole: Tu quoque, Brute, fili mi!, “Anche tu Bruto, figlio mio!”.

 

Federica Gennari