“C’è troppo Howard Hughes in Howard Hughes; è questo il problema”. Così dice Cate Blanchett, interpretando Katharine Hepburn, nel film di Martin Scorsese “The Aviator”, dedicato proprio all’imprenditore americano.
Howard Robard Hughes, Jr. (Humble, 24 dicembre 1905 – Houston, 5 aprile 1976) è stato l’espressione del sogno americano diventato un’incubo, eppure capace di penetrare nella memoria collettiva aleggiando come una figura mitica ben oltre la sua morte.
Sarebbe troppo facile ricordarlo solo perché è stato un ricco magnate finanziario, l’uomo più ricco degli Stati Uniti tra gli anni ’30 e ’40; Hughes risultava senz’altro egocentrico e contraddittorio, ma possedeva anche una forte genialità che ha cercato di immettere in ogni singola passione: le belle donne, il cinema e l’aviazione.
Proprio queste passioni spesso hanno finito per coincidere, confluendo in grandiosi progetti dall’alto costo realizzativo che più volte lo hanno costretto a dar fondo a tutte le risorse economiche di cui disponeva.
Celebre rivoluzionario che incarnava perfettamente il desiderio di una nazione intera, non abbandonò mai il sogno di creare modelli aerei sempre più avveniristici; costrui l’aereo più grande del mondo, quasi tutto in legno in mancanza di alluminio, il celebre Hughes H-4 Hercules, volò solo una volta eattualmente esposto in Evergreen Aviation Museum.
Non ebbe purtroppo fortuna sul mercato aeronautico statunitense, tacciato dal senatore Brewster di attività illecite legate alla compagnia.
In quel periodo Hughes, affetto fin da bambino di disturbi mentali di tipo ossessivo-compulsivo, aveva deciso di rinchiudersi volontariamente all’interno della propria villa: circondato soltanto di fazzoletti sparsi ovunque sul pavimento, oppresso nella sala di proiezioni private dentro la quale si muoveva completamente nudo e sorretto da un bastone, irriconoscibile per via di barba e capelli cresciuti a dismisura, decise di presentarsi dinnanzi all’apposita commissione ribattendo colpo su colpo quelle accuse infondate.
Hughes, del resto, non è mai stato un bugiardo: nato a Humble la vigilia di Natale del 1905, allevato da una madre severa e maniacale, ereditò una grossa fortuna appena diciottenne in seguito alla morte del padre, ritrovandosi a capo di una potente compagnia petrolifera; soffrendo però di misofobia, la paura dei germi, fu costretto progressivamente a curarsi in numerose cliniche private, diradando le sue apparizioni in pubblico ma alimentando un mito costantemente in crescita.
Per Hughes, presentarsi di fronte ad una folla in delirio sotto il peso dei flash fotografici, era un forte sforzo di autocontrollo; alle volte riusciva a nascondersi, mentre in altre circostanze finiva per ripetere frasi sconnesse all’infinito senza possibilità di fermarsi.
Nemmeno Rita Hayworth, una delle donne da cui si sentì maggiormente attratto, fu capace di guarirne gli scompensi psichici: Hughes, guardandosi allo specchio dopo aver ottenuto dall’attrice un appuntamento a lungo desiderato, si ritroverà a parlare da solo per ricadere nuovamente nel solito tunnel di schizofrenia paranoica.
Pur essendo una personalità autodistruttiva, riuscì ad incarnare comunque alla perfezione il modello del Self Made Man americano: ne diede dimostrazione al mondo nel 1930, alla prima presentazione ufficiale del suo debutto dietro la macchina da presa, intitolato “Gli angeli dell’inferno”.
Arrivò davanti ai giornalisti abbagliato da numerosi scatti pubblicitari, scortando come al solito una bellissima ragazza dalla capigliatura dorata, godendosi il trionfo del clamore suscitato dalla propria pellicola.
Quest’ultima era un inno all’aviazione realizzato dal suo più fedele appassionato: un’opera girata con tecniche sperimentali, in cui le sequenze aeree vennero riprese dal vero.
Diverse sono le ragioni per cui passò alla storia: anzitutto l’uso del termine kolossal, che inaugurò la stagione delle grandi produzioni hollywoodiane; il costo spropositato, impensabile per l’epoca (quasi 4 milioni di dollari); infine le oltre 500 ore di negativo, record attualmente imbattuto.
Hughes però non si accontentò di questo: inizialmente pensato per l’epoca del muto, il progetto venne totalmente rimontato con l’avvento del sonoro, in una sincronizzazione approssimativa che non impedì comunque di garantire incassi molto soddisfacenti.
Hughes fu regista soltanto di un altro lungometraggio, “Il mio corpo ti scalderà”, datato 1943; il film segnò il debutto sullo schermo della sensuale Jane Russell, in un western atipico che spostò l’attenzione dai cavalli alle forme provocanti della sua protagonista, vestita appositamente con abiti succinti e sensuali.
Proprio per questo la pellicola incontrò noie con la censura, a causa del Codice Hays che regolamentava gli standard di moralità in ambito artistico.
Ancora una volta, Hughes non si scoraggiò: intraprese una lunga battaglia estenuante ed accese un forte dibattito in tutto il Paese, riuscendo finalmente ad ottenere l’autorizzazione per una proiezione completa nel 1946.
Fu a causa di simili dissidi, che Hughes venne spesso escluso preventivamente dalla corsa agli Oscar; nonostante questo, le sue produzioni ottennero sempre incassi considerevoli e lo portarono perfino a diventare il proprietario della prestigiosa compagnia cinematografica RKO: costretto dalle leggi antitrust, dovette però cederne i diritti nel 1955.
Il fatto però che Martin Scorsese, nel 2004, abbia voluto omaggiarlo con un film in grande stile interpretato da Leonardo Di Caprio, è la migliore dimostrazione del mito durevole di Hughes sullo schermo e attraverso tutta l’industria americana.
In precedenza, ci avevano pensato Oliver Stone e Brian De Palma a dedicargli “Scarface”, rifacimento del classico “Lo Sfregiato” (1932), gangster di efferata violenza finanziato dallo stesso Hughes.
Ancora oggi, del resto, migliaia di persone viaggiano regolarmente per gli Stati Uniti utilizzando le linee aeree da lui create: segno che il mito resiste saldamente perché, nonostante l’impero economico a disposizione, seppe comunque ritagliarsi i suoi trionfi solo grazie a straordinarie qualità personali.
E fu proprio a seguito di un incidente aereo, il 5 Aprile 1976, che trovò la morte Howard Hughes: ma forse, per quest’ultimo, quella potrebbe essere la testimonianza di una passione capace di condurlo nell’Olimpo degli Intoccabili.
Gabriele Fagioli.