Il 15 febbraio 1898 Antonio Clemente nasce al rione Sanità in Napoli, da Anna Clemente nubile e, Giuseppe De Curtis, figlio del marchese De Curtis.
Totò a seguito della sentenza del 1946 assume il nome e seguenti titoli nobiliari; “Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cicilia, di Tessaglia,di Ponte di Moldavia,di Dardania,del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo”.
Cresce nei vicoli di Napoli, finite le elementari, viene mandato in un collegio ma non arriva a finire neanche il ginnasio dove un insegnante per gioco lo colpisce al naso procurando al giovane Antonio quel caratteristico aspetto picassiano che lo rese famoso. Con il suo carattere estroverso si dedica istintivamente a imitare in particolare e nel 1913/14 debutta in un teatrino napoletani con lo pseudonimo di Clerment. Quando finisce la guerra torna al teatro. Comincia e conoscere e lavorare con gente come Eduardo e Peppino De Filippo, Cesare Bixio. Per una di quelle circostanze che facciamo fatica a considerare casuali il marchesino suo padre aveva iniziato una sua attività, di agente teatrale, per rendersi economicamente indipendente dalla famiglia E nel 1921, alla morte del marchese padre, si sposa con la donna della sua vita osteggiata dalla famiglia perche di origini popolane: la bella Anna.
Antonio diventa Antonio De Curtis e con la famiglia si trasferisce a Roma. Dopo aver lavorato in vari piccoli teatri romani, approda al Teatro Jovinelli. Qui inizia a farsi conoscere a ben presto raggiunge una certa notorietà e con essa la agiatezza economica che tanto aveva agognato durante la sua poverissima infanzia inizia a viaggiare per l’Italia in tournée.. Il suo personaggio è ormai famoso: in bombetta, tight fuori misura, scarpe basse e calze colorate che conserverà per tutta la vita. Le macchiette più apprezzate furono quelle del Gagà, , del Bel Ciccillo,del Biondo corsaro, di Otello, Il mio corredo”, raccontò più tardi, “era composto da un solo abito per la scena che andava sempre più logorandosi, senza una sia pur remota possibilità di sostituzione. Ebbi da qui l’idea di creare un “costume” che accentuasse la mia reale situazione vestiaria. Una logora bombetta, un tight troppo largo, una camicia lisa col colletto basso, una stringa di scarpe per cravatta, un paio di pantaloni “a saltafossi” comuni scarpe nere basse, un paio di calze colorate. Così nacque l’abito di Totò“.Verso il 1932 durante una rappresentazione a Firenze Totò conosce una giovanissima ragazza fiorentina di appena sedici anni, Diana Bandini Rogliani, dalla quale nel 1933 ebbe una figlia, Liliana, e che sposò nel 1935. In quegli annoTotò fonda una compagnia, sono per lui gli anni d’oro dell’avanspettacolo. Alle vecchie macchiette si erano aggiunti in repertorio “numeri” come l’Adamo di Monna Eva (1929), il Cajo Silio di Messalina (1929), Totò Charlot per amore (1930), Il prestigiatore (1931), il finto pazzo di Fra moglie e marito la suocera e il dito, La mummia vivente, il Dongiovanni, e molti altri spesso per riviste che scriveva egli stesso, come L’ultimo Tarzan. Portati in tournée, questi personaggi gli valsero l’ammirazione e il consenso di intellettuali (Cesare Zavattini, Umberto Barbaro, Renato Simoni, Marco Ramperti, ecc.) ma soprattutto un pubblico sempre più numeroso. La gente lo ama e il cinema pensa a lui anche se Totò aveva sempre considerato il Teatro come Arte e il Cinema come a una sorta di arte minore un passatempo. Pur tuttavia nel 1937 interpreta “Fermo con le mani!”, cui segue due anni dopo ” Animali pazzi”. Ma questi film, non riscuotono molto successo, mentre le sue riviste continuano ad andare alla grande. Nel 1947 invece con “I due orfanelli” Totò sfonda anche nel cinema. Questo successo lo porterà a essere protagonista di quasi un centinaio di film e ad accantonare il suo primo amore: il teatro. Totò aveva conquistato anche il pubblico di un certo livello ” con spettacoli scritti da Galdieri su misura per lui e la Magnani. Galdieri scrisse sceneggiature raffinate, che lasciavano a Totò tutta la possibilità d’intervenire ancora “a soggetto”. Lo sketch più celebre di Totò appartiene a una rivista di Galdieri del dopoguerra, C’era una volta il mondo (1947), e s’intitolava L’Onorevole in vagone letto. Era all’inizio molto breve, ma, replica dopo replica, raggiunse quasi cinquanta minuti , ed è possibile rivederlo nella versione cinematografica che Totò, affiancato da Isa Barzizza e Mario Castellani, realizzò nel film Totò a colori (1952). La stampa si occupò spesso in questi anni della sua vita sentimentale molto movimentata ma una donna in particolare Franca Faldini gli resto accanto dal 1952 sino alla morte. Dal punto di vista caratteriale l’immagine pubblica di Totò attore comico era in netto contrasto, con il principe Antonio de Curtis, che, smessi i panni dell’attore, era un cittadino ricco riservato e piuttosto distante. Si tramanda ad esempio che prima di girare Uccellacci e Uccellini, Ninetto Davoli, ragazzo di borgata, venne portato nella abitazione romana di Totò per un primo contatto ma l’impressione che il Principe ricevette da quel ragazzo fu talmente negativa che al termine dell’incontro Totò spruzzo dell’insetticida sulla sedia dove era stato seduto Davoli. Dopo il successo cinematografico clamoroso de i due orfanelli amatissimo da un pubblico popolare, la critica non lo tratta però con lo stesso entusiasmo ciononostanteTotò diventa in breve tempo il numero uno della cinematografia. Dopo quel film seguirono Fifa e arena (1948, di Mattoli), Totò al giro d’Italia (1948, di Mattoli), Totò cerca casa (1949, di Steno e Monicelli), Totò le Mokò (1949, di Bragaglia), L’imperatore di Capri (1950, di Luigi Comencini), Totò cerca moglie (1950, di Bragaglia), Tototarzan (1950, di Mattoli), Totò sceicco (1950, di Mattoli), e via via decine di altri. “Da allora e sino al 1956-57 almeno un film dì Totò è sempre compreso nell’elenco dei primi dieci classificati stagione per stagione”, scrisse Vittorio SpinazzolaTotò espresse la sua poetica in Siamo uomini o caporali? (1955, di Camillo Mastrocinque). In resoconto delle disgrazie di un italiano prima durante e dopo la guerra,dove le realtà umane si riducono alla contrapposizione tra “uomini” e “caporali”, tra vittime e prepotenti, i quali ultimi si presentavano volta a volta nelle vesti di un fascista, il kapò di un Lager, un ufficiale alleato, un direttore di giornale, un industriale. Questa filosofia fa parte delle convinzioni piu intime e sincere del grande comico napoletano che lo spingeranno a creare, poesie dialettali come (‘A livella),. Sul finire del 1956 l’attore decise di tornare al teatro, ma durante la tournée venne colpito da broncopolmonite virale e, a Palermo, da un abbassamento della vista in scena (aveva riportato gravi lesioni alla retina durante la realizzazione del film Totò a coloro a causa delle lampade di scena ). Per circa un anno non riesce a vedere nulla e quando tornò al cinema nel 1958 l’eredità della malattia compromise il suo fisico duramente. Pier Paolo Pasolini ebbe la geniale intuizione di impiegarlo, in Uccellacci e uccellini (1966), e negli episodi La terra vista dalla luna (per il film Le streghe, 1967) e Che cosa sono le nuvole (1967, distribuito nel 1968, per il film Capricci all’italiana).Nell’ultimo periodo della sua vita Totò si limitava appariva raramente in pubblico e dedicandosi con fervore ad attività benefiche come ad esempio la fondazione di un ospizio per cani randagi. Totò non era ricco: aveva sempre preteso poco dai produttori, ma soprattutto aveva sempre speso moltissimo Il 13 aprile 1967, mentre era impegnato in Padre di famiglia di Nanni Loy, le sue condizioni fisiche si aggravarono (venne sostituito da Ugo Tognazzi). Morì due giorni dopo, il 15 aprile 1967 – a seguito di un’ennesima crisi cardiaca – a Roma nella sua casa di viale Parioli, assistito da Franca Faldini. Venne sepolto a Napoli, nel cimitero del Pianto a Poggioreale, nella chiesa del Carmine cui prese parte un’immensa folla che si dispose lungo percorso funebre sin dall’imbocco autostradale di Napoli.
Fabio D’Andrea