Il 2 dicembre del 2005 Microsoft lancia sul mercato europeo la X Box, una console per videogiochi che nel corso degli anni ha avuto un enorme successo commerciale. Il “giochino” ha fruttato alla Microsoft diversi (non so esattamente quanti, ma tanti) milioni di dollari visto che i modelli venduti a gennaio 2012 ammontavano a circa 66 milioni di pezzi. Parlare di “giochi” fa pensare in genere a cose soavi per bambini o per ragazzi ma niente in questo caso é più lontano dalla realtà, sia in termini di business immenso che gira intorno a questo settore sia per quanto riguarda il loro contenuto. Il successo del videogioco è determinato in ugual misura sia dalla parte hardware (la console) sia dal software (il gioco in se stesso), e a parte le varie meraviglie tecnologiche che appartengono allo strumento, vale la pena soffermarsi sul gioco perché è da questo che si potrebbe comprendere il motivo per cui l’entertaiment non conosce crisi, ma è destinato anzi a una continua espansione. Visto che si parla di Xbox parliamo allora del suo software di gioco più famoso: Halo, arrivato ormai alla quarta fase evolutiva. Si tratta, tanto per cambiare, della solita storia buoni contro cattivi, seppure con livelli di sofisticazione di resa grafica veramente impressionanti; ma la bellezza e la realisticità delle ambientazioni possono dare un appagamento estetico ai giocatori che però trovano il “core” del divertimento nella “azione” guerresca che si porta avanti consumando le dita a forza di pressioni su pulsanterie a cui corrispondono altrettante azioni sia di movimento che di combattimento.
Ci si muove all’interno dello scenario in prima persona, ossia io, sono il personaggio che manovro. La distanza con il personaggio virtuale che si controlla è minima e coincide alla distanza tra noi e lo schermo, ma la identificazione con il golem elettronico è massima. Questo forse è l’aspetto più inquietante del tutto: l’inevitabile processo di osmosi tra giocatore umano e realtà virtuale. Le uniche forme di socializzazione che ho intravisto in questi giochi, sono rappresentate da due possibilità: giocare insieme ad un amico lo stesso game oppure giocare on line con amici sparsi per il mondo. Il rischio di estraneazione dalla realtà fisica è dunque reale, così come reale è anche il rischio di confusione tra mondo reale e virtuale se l’esposizione al gioco diventa eccessiva. Ma entriamo nel concetto di gioco o meglio in Halo e chiediamoci perché tanti milioni di adolescenti e non solo trovino irresistibile giocare per ore ammazzando nemici virtuali. Eliminare più nemici possibile, in sostanza, di questo si tratta, seppur per nobili fini come la tradizionale difesa
del pianeta terra contro cattivi venuti da chissà dove. Il messaggio che passa è violento. Siamo d’accordo che premendo un pulsante non si uccide nessuno ma la cosa che non mi convince è l’associazione tra pulsante arma virtuale. Quando il giocatore deve eliminare un nemico non lo fa con un marchingegno da Archimede Pitagorico di Disney, (cioè con un qualcosa di immaginario), ma lo fa con armi vere o meglio verosimili, che mi sono preso la briga di elencare, estrapolandole dalla dotazione di Halo, per fornirvi una idea di quello a cui mi riferisco : Pistola M6G, Mitragliatore, Fucile d’assalto, Fucile da battaglia, Doppietta, Fucile di precisione, Lanciarazzi, Laser Spartan, Granate a frammentazione ecc. ecc. Queste sono tutte cose (tranne il laser) che fanno parte della dotazione di esercito, forze dell’ordine ma anche di criminali e sopratutto fanno riferimenti a cose a cui leghiamo il concetto reale di arma. Anche i “dialoghi” dei personaggi sono a volte discutibili come ad esempio quello del Sergente Reynolds, uno dei personaggi del videogame, un marine che dopo aver ucciso un nemico dice «A volte non c’è nemmeno gusto».Vero è che ognuno di noi dovrebbe poter contare sulla capacità di discernimento e sullo spirito critico ma i condizionamenti che possono derivare da queste situazioni virtuali sono tutt’altro che da sottovalutare. C’è chi afferma ad esempio che la aggressività che ognuno di noi si porta dentro, possa essere scaricata attraverso un gioco violento e chi invece sostiene che questo tipo di attività possa indurre comportamenti violenti di emulazione. Non credo ci sia una risposta univoca ma anzi tante risposte quanti sono i giocatori. Non possiamo fare altro quindi che registrare un fenomeno fortemente caldeggiato dalle multinazionali del videogioco che dedicano fette importanti di investimenti nella ricerca e sviluppo di grafiche sempre più sofisticate, al punto che lo schermo è arrivato a diventare più che un passatempo un simulatore, come quelli usati per l’addestramento militare. Intravvedo degli sviluppi con potenzialità inquietanti di questo settore, basati su realtà virtuali sempre meno distinguibili dalla vita vera. L’argomento è stato anche trattato da romanzi e film di fantascienza dove il protagonista, sempre più scontento della sua situazione, preferiva ad un certo punto vivere la versione informatica della sua esistenza invece di quella reale. Si potrebbe anche parlare di dimensione onirica artificiale ma nel sogno noi non possiamo determinare cosa sogneremo, con il videogioco invece possiamo scegliere senza problemi l’ambito in cui vogliamo muoverci/perderci. Finora il discrimine tra vero e falso tra vita e dimensione virtuale è sempre stata distinguibile per l’artificiosità degli ambienti in cui il gioco prende forma ma la ricerca in questo campo sta raggiungendo livelli di veridicita ambientale e una imprevedibilità situazionale, sempre più somiglianti a quelli della vita reale. Sarà un caso?
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Andrea Carraro