Mírzá Hussayn ‘Alí, che assumerà il titolo di “Bahá’u’lláh” (Teheran, 12 novembre 1817 – Acri, 29 maggio 1892), nacque in una nobile famiglia, risalente alla dinastia sassanide. Suo padre, ministro della corte, era stato intitolo “Mírzá Buzurg, il calligrafo” (morto 1839). Originario di “Núr” nel Mázindarán, fin dalla prima infanzia Si distinse fra i Suoi parenti ed amici; tutti dicevano: “Questo fanciullo ha dei poteri straordinari”. Era superiore alla Sua età e al tempo in cui viveva, non solo per la saggezza ma anche perché dotato di un nuovo tipo di sapienza. Ha trascorso la sua adolescenza e giovinezza con grande generosità verso i poveri, la servitù ed i lavoranti. Era un rifugio per i deboli, asilo per timoroso ed indigente. Si rivolgevano a Lui per la soluzione dei problemi escatologici e per risolvere le controversie
In una epistola allo Scià Nássiri’d-Dín (1820-1896), Egli lo richiamerà a testimoniare che: Io non ho studiato le discipline correnti fra gli uomini; non sono entrato nelle loro scuole. Chiedi, nella città in cui ho dimorato, acciocché tu possa ben assicurarti che Io non sono di coloro che mentiscono.
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Quando Bahá’u’lláh compì diciotto anni (1835), si sposò con Asíyih-Khanúm, la cognata della Sua sorella, figlia di un ministro, collega del padre. Da questa unione nacquero sette figli; tre sopravvissero fino all’età adulta: ‘Abbas (‘Abdu’l-Bahá), Bahíyyih Khanúm e Mihdí.
Quando nel 1844 “Il Báb” dichiarò la sua missione messianica e proclamò di essere il precursore di “Colui che Dio Manifesterà” a breve, incaricò Mullá Hussayn, nella sua prima missione, di partire per Tehran in cerca di un “Nobile Personaggio” con particolari caratteristiche al Quale, consegnare la Sua missiva.
<… Prosegui il tuo viaggio verso il nord e visita, strada facendo, Isfahán, Káshán, Qum e Tihrán. Implora che l’Onnipossente Provvidenza ti permetta benignamente di pervenire, nella capitale, al seggio della vera sovranità e di accedere alla magione del Diletto. Nascosto in quella città giace un segreto. Quando sarà palesato, tramuterà la terra in Paradiso. E’ Mia speranza che tu possa ricevere una porzione della Sua grazia e riconoscerne lo splendore>.
Mulláh Hussayn fu ispirato nella consegna. Bahá’u’lláh lesse i primi passi del rotolo e aderì al Movimento. Collaborò e sostenne le attività di diffusione del messaggio. Affrontò le avversità del clero e del governo. Organizzò la conferenza di “Badasht”, dove si evidenziò il carattere indipendente dall’Islam del Nuovo Messaggio, soprattutto per la presenza e a viso scoperto della esponente femminile della fede, “Táhirih” (La Pura 1817-1852).
Egli fornì viveri e coperte ai Bábí assediati a Tabarsí (luglio‘48-maggio‘49) prima che venissero massacrati con inganno di lasciarli liberi; l’episodio che si verificò in altre due circostanze a Nayríz e Zanján.
Intanto, Bahá’u’lláh nonostante il Suo rango, subiva maltrattamenti e prigionia. Il 5 settembre 1848 con la morte di Muhammad Sháh, il re Qájár, decadeva il suo recente editto di condanna a morte nei confronti di Bahá’u’lláh. Con la salita al trono del giovane figlio “Nássiri’d-Dín” e la scelta del nuovo primo ministro, la situazione dei Babi s’agravò; si scrissero pagine eroiche di sacrifici formanti l’epopea della nuova fede.
A quattro anni dalla Sua dichiarazione, agli inizi del 1848, il Báb veniva esiliato e relegato nella fortezza prigione di Máh-Kú al confine nord. Agli inizi del 1850 un gruppo di illustri Bábí a Tihrán furono uccisi; altri due episodi simili a “Tabarsí”, si verificarono a Nayríz e Zanján. Tutto culminò con la fine della vita terrena del Báb con la Sua fucilazione a Tabriz, 9 luglio 1850.
Bahá’u’lláh divenne il fulcro della comunità. Lo stesso primo ministro vedendo il Suo rifiuto di occupare un posto governativo, l’aveva invitato di allontanarSi ed andare in pellegrinaggio. Fra aprile e maggio 1852, Egli tornò dall’Iraq, su invito del primo ministro che invano tentò di nuovo di coinvolgerLo negli affari del governo.
Il 15 agosto 1852, due isolati Bábí depressi per l’ingiusta sorte del Báb, attesero il re che ritenevano responsabile, di ritorno dalla caccia per ucciderlo con dei fucili a palline. Un gesto sconsiderato che causò una caccia ai Bábí. Furono trucidati i due attentatori e migliaia di altri Bábí in tutto il paese tra cui, la dotta poetessa, Táhirih (La Pura).
Bahá’u’lláh era ancora l’ospite del primo ministro quando seppe dell’attentato e della carneficina dei Bábí. Si diresse verso la residenza del re ma, fu arrestato su istigazione della madre del re ed imprigionato nella ex cisterna dei liquami del palazzo reale, insieme ad altri Bábí. Bahá’u’lláh e pochi altri sopravvissero a quelle condizioni mortali.
Dopo quattro mesi di prigionia in “Siáh-Chál” (Buco Nero), su intercessione dei dignitari e consoli che garantirono la Sua estraneità all’attentato, Bahá’u’lláh fu liberato a patto d’immediato esilio fuori dai confini del paese.
Durante la Sua prigionia, mentre giaceva con i ceppi ai piedi ed una catena pesante circa quarantacinque chili al collo, Bahá’u’lláh ricevette la visione della volontà di Dio per l’umanità.
Il 12 gennaio 1853, in un inverno rigido, attraversando le montagne innevate, a piedi e con i muli, Bahá’u’lláh spogliato dei suoi averi e possedimenti, in compagnia della Sua famiglia, dovette lasciare la Sua città natale, il Suo paese e partire verso Baghdad. Dopo, Lo raggiunsero altri gruppi dei Bábí. La comunità neofita in esilio, senza la sua guida, Il Báb, cadde in confusione e incertezze. Si allontanò dagli ideali dell’Avvento. Bahá’u’lláh deluso dei loro comportamenti, Si ritirò per due lunghi anni, sulle montagne di Sulaymáníyyih in contemplazione e ritiro; finche la Sua fama di un “Saggio” in contatto con i sufi della zona, raggiunse la famiglia, che mandò un emissario per scongiurarLo di ritornare a casa.
Il Suo ritorno fu una festa per la famiglia, comunità degli esuli e per i dignitari della città che Lo avevano conosciuto. La notizia raggiunse la comunità martoriata in Persia che si rinvigorì. Molti cominciarono a venire ed incontrarLo. I Suoi scritti, poesie, aforismi e chiavi di lettura dei testi sacri, venivano diffusi. La città di Baghdad gli riservava onori e rispettabilità.
La Sua influenza allarmò il clero ed il governo che chiesero al Sultano Ottomano di toglierGli la protezione, rimpatriarLo oppure allontanarLo dai confini della Persia. Il Sultano curioso di conoscere il personaggio così avversato, optò per invitarLo alla Corte.
Il 2 Maggio 1863, Bahá’u’lláh e la comitiva degli esuli lasciarono Baghdad per un altro esilio che li portava a Costantinopoli (Agosto 1863). Prima di quest’altra partenza, Bahá’u’lláh ruppe l’indugio e discretamente svelò alla comunità, l’intimazione che dieci anni prima aveva ricevuto in Siáh-Chál; cioè di essere, l’Oggetto del tanto citato dal Bab: “Colui che Dio Manifesterà”. Questa ricorrenza è chiamata “Ridván” (Paradiso), la festa della dichiarazione di Bahá’u’lláh. La partenza creò costernazione nei fedeli e dignitari.
La Carovana percorse deserti, pianure, monti, valli e nel mese di settembre entrò in Costantinopoli. Le sofferenze di questo interminabile viaggio furono mitigate per opera attiva di ‘Abdu’l-Bahá (1844-1921), il Suo ventenne figlio maggiore, colui che in seguito sopporterà sempre un peso maggiore nella protezione, gestione e pubbliche relazioni, per conto del Padre.
La permanenza in Costantinopoli durò pochi mesi. Bahá’u’lláh non seguì la prassi di cercare l’indulgenza della Corte e il console iraniano ne fece un segno di arroganza per riferire al Sultano ed allontanare la Sua influenza dalla Capitale dell’Impero.
L’esilio ad Adrianopoli (1863-68) rappresenta il periodo della Sua dichiarazione pubblica tramite Tavole ed Epistole indirizzate ai Re e governanti del mondo. In questo periodo la comunità diffusasi anche nei paesi confinanti, seguì sia i Suoi movimenti che le Sue direttive ed esortazioni. Le macchinazioni dei nemici non si placarono e causarono ulteriore esilio e questa volta con l’intenzione di mettere fine alla Sua vita. Un editto del Sultano Abdu’l-Azíz con l’applicazione immediata, obbligò gli esuli alla partenza via terra e mare per la colonia penale di Akká in Palestina. Il trattamento ricevuto, le condizioni del viaggio, e l’insalubre e scarse condizioni igienico alimentare hanno causato nella comitiva un numero maggiore dei morti e feriti, rispetto alle precedenti diaspore. Ma, la divina presenza di Bahá’u’lláh e il suo ormai luogotenente ‘Abdu’l-Bahá, garantivano la simpatia ed il rispetto dei carcerieri, col passare del tempo; tanto da trasformare le avversità in benedizioni. Con quest’ultimo esilio, anche l’itinerario dei pellegrini dalla Persia, spesso a piedi, si stabilizzò ed aumentò.
La prigionia e permanenza di Bahá’u’lláh in Akká durarono fino alla fine della Sua vita terrena. In questo periodo fu da Lui rivelato il libro delle Sue leggi ed ordinanze “Kitáb-i-Aqdas” (Il Libro Santissimo). Egli completò l’opera della Dispensazione Divina, sancì le Sue ultime volontà e testamento atte a guidare l’umanità per il prossimo millennio. Egli stabilì che ‘Abdu’l-Bahá, il Suo figlio, l’esempio di vita Bahá’í, era il Suo successore e l’unico interprete delle Sue parole. Si calcola che Egli abbia profuso una quantità di scritti illuminanti il sapere umano, pari a cento volumi.
Shahrokh Makhanian