Giovanni Falcone, il coraggio della verità

“la mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine”. (Giovanni Falcone).
Un eroe della storia italiana, figura indimenticabile della lotta alla mafia insieme al collega e amico Paolo Borsellino. Giovanni Salvatore Augusto Falcone, nato a Palermo il 18 maggio 1939,
iniziò la sua carriera in qualità di pretore e di sostituto procuratore presso il tribunale di Trapani, finché nel 1978, trasferito a Palermo, passò all’Ufficio Istruzione dove conobbe e lavorò con Paolo Borsellino sotto la direzione di Rocco Chinnici. Il primo incarico relativo al mondo mafioso si ebbe con l’indagine contro Rosario Spatola (1980): Falcone decise di ricostruire i traffici bancari e i possedimenti patrimoniali, riuscendo in questo modo ad individuare una grandissima rete criminale, estesa fino agli Stati Uniti, dove Falcone stesso si recò per stringere collaborazione con l’investigatore newyorkese Rocco. In un contesto fortemente drammatico, segnato da numerose vittime di mafia (tra le quali anche personaggi noti come Carlo Alberto Dalla Chiesa), compì la propria ascesa la casata dei Corleonesi: l’evidente necessità di porre soluzione alla crescente violenza influì pesantemente sulla scelta, operata da Caponetto, di creare un “pool anti-mafia” costituito da pochi magistrati dedicati esclusivamente alla lotta alla mafia. L’operato del pool portò al primo grande processo di mafia: il 16 novembre 1987 il maxi-processo di Palermo emesse oltre 360 condanne. A quel punto gli spunti e i nuovi elementi d’indagine si moltiplicarono, tanto che il pool venne allargato a nuovi membri. In corrispondenza ad una sentita crescente minaccia alla sicurezza di Falcone e Borsellino, il pool affrontò gravi problemi: nominato alla direzione Antonino Meli (settembre 1987) con grandi polemiche, questi non mantenne fede al metodo instaurato in precedenza, favorendo, in un certo senso, la vulnerabilità dei membri rispetto l’organizzazione mafiosa che, nel frattempo, continuò a mietere vittime (tra le quali G. Insalaco, ex sindaco di Palermo). Alcuni membri del pool si dimisero e Falcone richiese di essere trasferito: Meli, di conseguenza, sciolse ufficialmente il pool. Era il 30 luglio 1988. Circa un anno dopo, il 21 giugno 1989, Falcone subì il cosiddetto “attentato dell’Addaura”: alcuni sicari di organizzazioni mafiose piazzarono del tritolo nei pressi della villa dove Falcone, insieme alla famiglia, si trovava in vacanza. L’attentato fallì: il tritolo non esplose, forse grazie all’intervento di due agenti (A. Agostino e E. Piazza), successivamente assassinati, come molti altri testimoni diretti dei fatti. All’attentato seguì la celebre vicenda del “corvo”, una serie di lettere anonime circolanti presso il Palazzo di Giustizia di Palermo nelle quali Falcone e alcuni colleghi vennero diffamati quali sostenitori del ritorno di un pentito contro i corleonesi. L’accuratezza dei dettagli nei fatti descritti, dall’attentato (attribuito ai corleonesi) ai meccanismi interni al tribunale, fomentarono ad arte l’ipotesi di un “corvo”nell’ambito della magistratura. Inizialmente accusato il giudice Alberto di Pisa, venne successivamente assolto in Appello. Nominato procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica, nell’estate del 1989 Falcone si occupò del pentito Pellegriti che, iniziando a collaborare con la magistratura, diede importanti indicazioni su alcuni omicidi: Falcone lo incriminò, insieme ad Angelo Izzo, riscuotendo notevoli critiche. Ulteriori polemiche furono sollevate da Leoluca Orlando il quale si scagliò contro Falcone ed alcuni collaboratori, accusandoli tra l’altro di aver tenuto nascosti alcuni importanti documenti riferibili ad omicidi di mafia. Polemiche che si protrassero nel tempo: nel settembre 1991Salvatore Cuffaro, deputato della regione Sicilia, accusò alcuni personaggi, tra i quali Falcone, di aver agito contro la Sicilia, con un giornalismo di stampo mafioso e una magistratura delegittimante la classe politica siciliana. Le continue polemiche non fecero che indebolire e sfaldare il fronte antimafia, favorendo di conseguenza Cosa Nostra e rendendo sempre più vulnerabile Falcone. Nonostante le continue critiche, in parte destate dalla vicinanza al socialista Martelli, si aprì per il magistrato una nuova stagione, nel ruolo di dirigente della sezione Affari Penali del ministero: in realtà, questo nuovo incarico, fu interpretato da alcuni magistrati come uno strategico allontanamento dalla Sicilia e dalle relative indagini. L’attacco di Leoluca Orlando non cessò, tant’è che Falcone, nell’ottobre 1991, fu chiamato a difendersi davanti al CSM: le interminabili polemiche influirono anche sulla presunta nomina a Superprocuratore, dalla quale Falcone fu poi escluso per timore di un legame tra magistratura e politica.
Il progressivo abbandono e la crescente violenza accrebbero la consapevolezza del magistrato che, nell’agosto del 1991, di fronte all’ennesimo omicidio “politico”, dichiarò “ora il prossimo sarò io”.
Giovanni Falcone morì infatti il 23 maggio 1992, nella cosiddetta Strage di Capaci: una carica di cinque quintali sistemata sull’A29 e azionata da Giovanni Brusca, fece esplodere l’auto della scorta del giudice; la seconda auto, con Falcone e la moglie, si schiantò contro un muro di cemento, mentre i componenti della terza auto registrarono solo delle ferite. Falcone e la moglie morirono alcune ore dopo, in ospedale. L’esplosione lasciò una grande voragine nel manto stradale, un’immagine eloquente della violenza mafiosa. I funerali delle vittime della strage furono celebrati il 25 maggio a Palermo, con grande partecipazione di tutta la città
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Oggi, l’eredità lasciata da Falcone è un patrimonio umano di eccezionale valore: il coraggio di lottare per la verità, la sfida contro la paura, sapendo che la mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine”. (Giovanni Falcone).

Federica Gennari