Sapete, forse, perché i francesi chiamano l’orgasmo “la petite mort”? Perché raggiunto il piacere finale, l’apice di un rapporto sessuale, a volte può accadere che uno dei due amanti svenga, lasciando tramortito e in preda al panico il partner: il mal capitato, infatti, potrebbe pensare in un primo momento che la sua “dolce metà” sia passata a miglior vita. Non credo sia casuale la scelta di una tale definizione riferita all’atto sessuale. In amore, come tra le lenzuola, ci si dà tanto al compagno o alla compagna, ci si annulla in una fusione che rende i due amanti una cosa sola, un’unità indissolubile: questo annullamento dei confini può essere visto come una “morte” in cui ciascuno dei due amanti rinuncia ad una parte di sé per accogliere il soggetto amato il quale, a sua volta, rinuncia ad una parte di sé per “incastrarsi” perfettamente con il suo amante, proprio come in un puzzle. Ma non sempre i pezzi del puzzle riescono ad incastrarsi come ci aspetteremmo, e in quel caso sono dolori. Dolori d’amore, s’intende. Vien facile pensare a quante persone abbiamo visto soffrire per amore: pianti e lamenti, liti e disperazioni, incomprensioni e falsi o precari riappacificazioni, illusioni e tormenti, tradimenti e “mi dispiace, non si ripeterà più”, e le tante volte in cui, invece, le cose continuano a ripetersi, spesso alle spalle del partner ignaro. Il male è poi, quando a seguito di una delusione d’amore o di un abbandono, colui il quale ha subito il no del partner non riesce a lasciarsi dietro il passato e ne vive ossessionato: questa è non poche volte la causa dei tanti delitti passionali di cui tutt’oggi sentiamo parlare. Ci chiederemo, allora, perchè un amante ferito possa toccare il fondo sino al punto di rinunciare a sé stesso o, ancor peggio, fino a pensare di uccidere colui o colei che ama. La risposta sta nella controversa questione tra amore e possesso, ampiamente dibattuta nell’arte e nella poesia.
Jacques Prévert (Neuilly-sur-Seine, 4 febbraio 1900 – Omonville-la-Petite, 11 aprile 1977) durante la sua lunga e appassionata attività poetica elabora e rielabora più volte il complesso concetto di amore.
Un amore quasi mai trascendentale, sempre bene ancorato alla terra, per cui palpabile, un sentimento “vivo” da toccare con mano, proprio come le sue poesie, scritte di getto ed affidate ad immagini immediate e di impatto, di vita quotidiana mescolata a sogni o visioni. Un amore di carne ed ossa. Prévert dedica buona parte della stesura dei suoi versi ai temi del sentimento amoroso lasciando in eredità ai lettori un canzoniere scisso, controverso, una sorta di abc per gli innamorati. Eppure c’è un filo sottile che unisce tutte le sue poesie d’amore.
L’amore è un sentimento che appartiene alla giovinezza, poiché sono i giovani amanti coloro i quali, con spensieratezza, “ […] si baciano / In piedi contro le porte della notte” ( I ragazzi che si baciano).Gli innamorati, dunque, sfidano la notte, emblema della fine dell’amore, e di conseguenza metafora di morte: “Tristi fanciulli perduti / erriamo nella notte. / Dove sono i fiori del giorno, / i piaceri dell’amore, / le luci della vita?” ( Lamento di Gilles ).
L’opposizione luce-ombra / giorno-notte inserisce quindi il sentimento d’amore in una dimensione temporale precisa: l’amore è giovinezza poiché i giovani si amano spassionatamente non avendo ancora conosciuto la “morte”, e dunque, non temendola. Anche in età adulta ci si ama, ma in questo caso il problema si fa più complesso: la società ci insegna a creare legami stabili, a metter su famiglia, fuorviandoci spesso dal senso intrinseco dell’amore, inteso come hic et nunc. Gli adulti vivono l’amore proiettandolo in un futuro incerto e divenuti vittime di false aspettative non godono dell’attimo, cedendo alle minacce della notte-morte intesa come fine dell’amore stesso: “ […] l’uomo è là / e c’è contro di lui la sofferenza / l’angoscia / c’è anche una donna / che è là / gli amici se ne sono andati / altre donne se ne sono andate”, “ […] amore sempre / lo stesso amore / l’uomo che vuole vedere vecchio l’amore” ( Brutta serata ). Il tormento risiede, dunque, nella consapevolezza della brevità del sentimento amoroso e, nel desiderio di “invecchiare” insieme a chi si ama.
È questa angoscia che porta l’uomo a cercare di trattenere a sé il soggetto amoroso, fallendo: “La lucertola dell’amore / Ancora una volta è fuggita / e m’ha lasciato la coda fra le dita / Ben mi sta / Avevo voluto serbarla per me” ( La lucertola ). A tal riguardo, bellissimo esempio è la poesia Les enfants de Bohême, in cui Prévert racconta: “Un uomo aveva un cane / un cane che chiamava Amore / l’uomo gli dava da mangiare / il cane lo leccava / l’uomo accarezzava il cane / […] e a volte addirittura l’uomo abbaiava un po’ / per fargli piacere al cane” e ancora “ è il mio cane / il mio amore / diceva l’uomo / è il mio uomo abbagliava l’Amore”. L’epilogo, però, è tragico: l’uomo mangia il cane. Un amore non può essere incatenato, poiché l’amare non può determinare un annullarsi-annientarsi nella persona amata: non ci sono padroni né cani quando si ama, né lucertole da tenere strette tra le mani.
Emblematici – nella poesia del Prévert – sono i volatili: come gli uccelli, infatti, l’amore, se lasciato libero, vola in alto permettendo di innalzarci sulle sue ali, sulla miseria di una società preconfezionata: “ […] un uccello non appartiene a un altro uccello / la donna non appartiene all’uomo né l’uomo alla donna” ( cfr. Brutta serata ), oppure, “ […] Donne stelle e uccelli / Donne e uccelli davanti alla luna” ( Temporale ), quella stessa luna che appartiene alla notte e che in un’altra poesia dedicata all’amico Miró recita: “ […] le lacrime sanno di sale / è per colpa della luna / che governa le maree”: è quindi la luna, la notte ( la morte ) a minacciare il volo della donna-uccello ( l’amore). La promessa d’amore è un “fastidioso ritornello” che ha come epilogo inevitabile un delitto passionale: “ L’uccello che canta nella testa / E mi ripete che t’amo / E mi ripete che m’ami / L’uccello dal fastidioso ritornello / Lo ammazzerò domani” ( Le canzoni più corte… ). Al poeta, e a noi tutti, non resta quindi che abbandonarci al presente dell’amore e al passare del tempo che implacabile porta via con sé ogni cosa, sottraendocela o trasformandola in memoria. Ed il tempo diventa vento nei versi immortali di Le foglie morte: “[…] Oh, vorrei tanto che anche tu ricordassi / i giorni felici del nostro amore / […] Le foglie morte cadono a mucchi / come i ricordi, e i rimpianti / e il vento del nord porta via tutto / […] Ma la vita separa chi si ama / piano piano / senza rumore / e il mare cancella sulla sabbia i passi degli amanti divisi”.
Eppure l’amore continua a vivere, da qualche parte… “Ma il mio fedele e silenzioso amore / sorride ancora, dice grazie alla vita / […] E la canzone che tu cantavi / la sentirò per sempre”.
Amate, dunque, senza remore o timori. E se un giorno l’amore dovesse abbandonarvi non disperate, non provate a trattenerlo mettendo guinzagli o catene, né pensate che la vostra vita sia finita lì. Affidate, piuttosto, questo amore al ricordo, poiché lui riuscirà a fare ciò che noi non riusciremmo a fare: consegnarlo all’eternità.
Con buona pace di Jacques Prévert.