Omaggio al Re Umberto II fatto dal suo Ministro della Real Casa.
ESILIATO MA PRESENTE.
Casa di Sua Maestà il Re
il Ministro
Roma, 18 Marzo 1983
Oggi, a Ginevra, alle ore 15 e 35, il Re Umberto si è spento.
L’ultima Sua parola Percepita, è stata : Italia.
(Falcone Lucifero)
Più grande del dolore per la morte di Re Umberto II deve essere il rimorso di quanti hanno privato l’Italia di questo Re.
Per oltre 38 anni ho avuto l’onore e la ventura d’essergli vicino. Mi aveva conosciuto a Salerno nel febbraio del 1944, quando ero ministro nel governo Badoglio.
A maggio, mentre ero prefetto del Regno a Bari, volle vedermi; affabile e gentile come sempre, mi disse: “Ho letto alcuni suoi libri e so che lei proviene dal partito di Giacomo Matteotti. Siamo d’accordo: libertà individuale e giustizia sociale. E siccome, all’imminente liberazione di Roma, mio padre mi nominerà suo Luogotenente Generale, vuole lei essere il mio ministro della Rea! Casa?”.
Cosi un mese dopo, cominciò una collaborazione durata sì a lungo.
Fu Re effettivamente, per due anni dal giugno 1944 al giugno 1946, anche se, fino all’abdicazione di Vittorio Emanuele III, fu chiamato Luogotenente Generale del Re.
Tutto fu diretto e ispirato da lui e fu il periodo più difficile per innumerevoli ragioni; la continuazione della guerra contro i nazisti, la repubblica sociale al nord, la presenza delle truppe alleate, la drammatica situazione dell’amata Trieste, gli sfollati dalle città bombardate, la mancanza di viveri e indumenti, i rapporti con i governi di coalizione e i comitati di liberazione, la tregua istituzionale da lui solo rispettata, dovunque tanti sentimenti e tanti contrasti.
Egli. Sempre sereno, affrontò con volontà determinata la soluzione di tutti questi problemi, ponendo ferme basi anche per il ripristino degli istituti democratici, la riconciliazione e la ripresa della vita nazionale.
Sdrammatizzò subito la questione istituzionale, che tanti avevano interesse ad acuire, come Pietro Nenni, col suo slogan antidemocratico ed intimidatorio: “La repubblica o il caos”.
Dal Quirinale egli disse: “La monarchia o la repubblica, come vorrà la maggioranza, liberamente espressa, dagli italiani”. Così mostrava di non vedere nella vicenda, in cui gli eventi storici lo avevano portato, un fatto dinastico e personale, ma un problema da risolvere democraticamente nel solo interesse del popolo italiano.
Grandezza d’animo, rara, se non unica.
Gli si rispose con l’esilio. Una lunga prigionia, e tutto, attorno a lui, era dominato dalla sua appassionata azione.
Le sue giornate erano intense. Si alternavano visite alle nostre truppe sulla linea gotica, udienze collettive e singole a chiunque desiderasse incontrarlo, colloqui con uomini politici, da Bergamini a Pajetta, con economisti, industriali, sindacalisti, scienziati, con i quali si discuteva del presente e si progettava l’avvenire.
E, tante volte, la sera, su una piccola Fiat da me condotta, andavamo nei quartieri periferici per vedere quanto era più urgente e possibile affrontare e risolvere.
Non gli fu consentito.
Credo fermamente che, col suo carisma, le sue non comuni doti, la sua profonda e minuta conoscenza di tutti i problemi della Nazione -morali, economici, finanziari, sociali, politici, culturali- la sua vigile, responsabile, paziente e schiettamente democratica guida, avrebbe impedito quegli errori che oggi tutti lamentano.
E fu colpito da una pena che non esiste in alcuna legislazione, perché l’esilio è contro i diritti fondamentali dell’ uomo.
Fu così ferito in quello che egli considerava l’unico scopo della vita: servire la Patria.
Pur profondamente addolorato, volle mantenersi in stretto contatto, giorno per giorno con gli italiani. Ogni fine d’anno e negli eventi importanti della Nazione, indirizzò messaggi di critica costruttiva, denunziando tempestivamente i danni della partitocrazia, della lottizzazione, dell’assistenzialismo e degli sperperi.
Nelle calamità che ci hanno colpiti, desolato dì non poter accorrere, volle sempre la presenza del suo ministro per portare una parola di solidale affetto e qualche aiuto: dal terremoto del 1947 in Calabria alla frana d’Ancona del dicembre 1982.
Così volle essere accanto alle famiglie degli uccisi ed ai superstiti di stragi e delitti, da piazza Fontana alla recente uccisione del magistrato di Trapani, Gian Giacomo Giaccio Montalto.
In alcune occasioni solenni, come il centenario del Regno d’Italia e quello di Porta Pia, volle additare all’orgoglio e alla riconoscenza della Nazione, Italiani illustri che hanno onorato la Patria nel mondo, conferendo l’Ordine Civile di Savoia a 75 personalità della scienza, delle lettere e delle arti, tra i quali il premio Nobel Giulio Natta, Giorgio De Chirico, Aldo Palazzeschi, Gian Carlo Menotti, il cardinale Amieto Giovanni Cicognani, Luchino Visconti, Pietro Valdoni, Enrico Mattei, Giacomo Manzù, Massimo Pallottino, Valentino Bompiani.
Inoltre, doni munifici a musei, chiese, santuari, scuole.
Doni personali fece pervenire ai nostri campioni dello sport, dai vincitori delle Olimpiadi a quelli dei Mondiali ’82.
Nulla gli sfuggiva di quanto accadeva in Italia. E’ stato necessario un libro di 500 pagine per documentare questa diuturna presenza d’Umberto II in Patria, durante circa 37 anni d’esilio.
Ancora poche settimane or sono, nel consueto messaggio che inviava ogni fine d’anno, egli esorta a “tornare ad amare la Patria”. Solo così -aggiunge – si potranno accettare i sacrifici, superare le difficoltà e riacquistare quel benessere che non fu un miracolo, ma il frutto dell’intenso lavoro e della fraterna cooperazione fra tutti gli Italiani”
Sono le sue ultime, ispirate parole. Quanto oggi c’inchiniamo pensosi e commossi davanti alle sue spoglie, facciamo nostra la sua esortazione e il suo auspicio. Posso affermare che quest’egli sperava e attende.
FALCONE LUCIFERO
Ministro della Real Casa