MAURIZIO MOSCA, UN INVENTORE DI UN GENERE A SE

Di grandi firme del giornalismo sportivo l’Italia del dopoguerra è ricchissima. Gianni Brera, Beppe Viola e Gianni Mura per il calcio, Rino Tommasi per la boxe, Gianni Clerici per il tennis, giusto pescando a caso tra nomi in genere più coccolati dall’intellighenzia. Ma nessuno di loro ha mai raggiunto le vette di popolarità toccate da Maurizio Mosca (Roma, 24 giugno 1940 – Pavia, 3 aprile 2010).  “Folletto della televisione”, come lo ha definito il critico televisivo Aldo Grasso in un documentario dedicato di recente a Mosca da Andrea Sanna e dal nipote Simone Mosca, è stato l’inventore di un genere a sé. Di un’informazione emotiva che sapeva portare sul piccolo schermo il clima delle discussioni da bar sport, conservando una visione genuina e innocente del calcio, cosciente che trattandosi di un gioco, ogni presunzione di farne scienza esatta avrebbe annoiato e tradito il pubblico.
Nato nel 1940, terzogenito dell’umorista, vignettista e scrittore Giovanni Mosca, Maurizio venne spinto giovanissimo dal padre al giornalismo. La prima collaborazione fu al quotidiano milanese La Notte. Convinto di non essere tagliato per il mestiere, lasciò dopo appena un mese il giornale. Si racconta allora che il padre Giovanni lo riportò personalmente in redazione trascinandolo per un orecchio. Aveva visto giusto. Poco tempo dopo infatti Maurizio passò alla Gazzetta della Sport, diventando commentatore autorevole di calcio e boxe. Alla “rosa” rimase vent’anni, divenendo caporedattore e destinato, si dice, al ruolo di direttore se soltanto non si fosse imbattuto nel cosiddetto “caso Zico”. Era il 1983 quando uscì a firma di Mosca una lunga intervista al popolare 10 brasiliano dell’Udinese (noto per il carattere schivo e difficile) che poco dopo negò, durante una puntata della Domenica Sportiva e in presenza del giornalista, di averlo mai conosciuto. Anche se Mosca ebbe modo di provare la malafede del calciatore, non perdonò mai al quotidiano che tanto amava di non averlo saputo (voluto?) difendere. Fu però allora che la sua carriera prese una piega del tutto inaspettata. Già dal 1979 era commentatore per una piccola tv privata milanese, siamo all’alba della diffusione in Italia della tv commerciale. Mosca capì sin da subito che quelle emittenti avrebbero presto conosciuto una crescita straordinaria. E capì che la televisione era fatta apposta per ospitare la sua personalità straripante, la sua passione per la discussione e il suo naturale talento (un dono di “famiglia”) per l’umorismo. Trasmissioni come Forza Italia, Casa Mosca, Guida al Campionato, furono le prime a trasformare in Italia l’informazione di taglio sportivo in un varietà.
La vetta più alta di questo genere televisivo è forse stata l’Appello del Martedì, che nel 1991 (il direttore di rete e il deus ex machina era Carlo Freccero) in seconda serata totalizzava quattro milioni di ascoltatori. Elencare tutte le trasmissione e le tv locali e nazionali in cui Mosca “mise il faccione” (così amava definire le apparizioni sullo schermo) sarebbe impossibile. Odeon Tv, Telereporter, Telelombardia, Telenova, Telemontepenice, Antenna 3, e poi Rai, Telepiù, Telemontecarlo, La 7, tutte le reti Mediaset. È certo che molto spesso, nascosta dal suo stesso personaggio, sia stata poco apprezzata la professionalità di Mosca. Che, vero e proprio inventore del calciomercato, geniale escamotage per tenere accesa la passione del tifo anche lontano dalle partite, quando sparava le sue celebri “bombe” attingeva sempre da fonti verificate. E che, maniaco dei dati auditel, non invitava mai una seconda volta un ospite che aveva fatto calare gli ascolti. A proposito invece del pendolino con cui reinventò l’arte del pronostico, nacque nel 1989. Durante la notte in cui il Milan, a Tokyo, era chiamato a giocarsi la Coppa Intercontinentale contro l’Atletico Nacional, Mosca, esausto per la lunga diretta notturna, si mise a giocare per caso con un piccolo portachiavi. Da allora, fino all’aprile del 2010, quando si è spento serenamente al Policlinico di Pavia, ogni domenica gli appassionati hanno aspettato quel suo gesto magico e infantile per dirsi “buon campionato”. 

Marco Panzeri