Osama Bin Laden (Riyad, 10 marzo 1957 – Abbottabad, 2 maggio 2011), è il 17° dei 52 figli del più ricco costruttore dell’Arabia Saudita. Nel 1979, dopo essersi laureato in ingegneria all’università di Gedda, forma la sua rete terroristica unendosi alle truppe della resistenza afgana, i mujahedin, per combattere le truppe sovietiche che occupano l’Afghanistan, diventando un eroe nella regione. Un’esperienza che lo porta a radicalizzare il suo odio nei confronti degli Stati Uniti ma anche a prendere le distanza dal paese di origine, l’Arabia Saudita, la cui famiglia regnante viene considerata ”troppo poco islamica”.
Terminata l’esperienza di guerra contro i sovietici, torna in Arabia Saudita, dove comincia a lavorare per l’azienda di costruzioni di famiglia, il “Saidi Binladen Group”. Tuttavia, a scapito della pacifica esistenza che si andava profilando, sembra divorato da un’irrefrenabilmente attrazione per le situazioni conflittuali. Ecco allora che si attiva sui fronti caldi del momento e si unisce alle forze che si oppongono alla monarchia regnante, la famiglia Fahd, tanto che di lì a poco viene espulso dal Paese, spogliato della cittadinanza saudita.
Nel 1996 lancia il primo “fatwah”, editto religioso in cui invita i musulmani a uccidere i soldati americani stazionati in Arabia Saudita e Somali. A questo ne segue un secondo, nel 1998. Nel mirino di bin Laden, stavolta, ci sono anche i civili statunitensi.
Secondo gli investigatori bin Laden è al centro di una coalizione terroristica islamica che vanta numerosi alleati, dall’egiziana al Jihad, agli Hezbollah iranani, al fronte nazionale islamico sudanese, ai gruppi della jihad in Yemen, Arabia Saudita e Somalia.
Nell’ottobre 1993, 18 militari statunitensi impegnati nell’operazione umanitaria in Somalia vengono uccisi nel corso di un’operazione a Mogadishu. Bin Laden viene condannato nel 1996 con l’accusa di aver addestrato i responsabili dell’attacco. Nell’intervista rilasciata a CNN nel 1997, ammette che a uccidere i soldati americani sono stati i suoi seguaci, insieme a un gruppo di musulmani locali.
Il 7 agosto 1998, otto anni dopo il dispiegamento delle truppe americane in Arabia Saudita, l’esplosione di alcune autobombe fa saltare in aria le ambasciate americane a Nairobi, in Kenya e a Dar es Salaam, in Tanzania, uccidendo centinaia di persone.
Bin Laden ha smentito il proprio coinvolgimento in questi episodi, ma secondo gli inquirenti la sua responsabilità è del tutto evidente dai fax inviati dalla sua cellula londinese ad almeno tre organizzazioni giornalistiche.
Due settimane più tardi, l’allora presidente Usa Bill Clinton (al centro in quel momento dello scandalo Lewinsky), ordina un attacco missilistico contro alcuni campi di addestramento in Afghanistan e un impianto farmaceutico a Kartoum, in Sudan.
Bin Laden sopravvive agli attacchi e viene accusato dalle Nazioni Unite di aver organizzato gli attentati del 1998.
Il 29 maggio 2001 quattro suoi collaboratori vengono condannati al carcere a vita. Diversi altri sospetti rimangono in attesa di processo.
Tra questi, Ahmed Ressam, reo confesso di aver partecipato al piano fallito di far esplodere l’aeroporto internazionale di Los Angeles durante i festeggiamenti del capodanno 2000. Ressam ha detto di aver imparato a maneggiare pistole e fucili in un campo di addestramento in Afghanistan, il Paese che ospita il miliardario saudita.
Il resto è storia recente. Dopo il tragico attentato alle Torri Gemelle di New York, bin Laden è diventato il pericolo numero uno per gli Stati Uniti, che hanno unito le loro forze, insieme a numerosi alleati internazionali, per dare la caccia a quello che è ormai considerato a tutti gli effetti (anche grazie ad alcuni video che lo vedono “dissertare” sulla riuscita dell’attentato), il responsabile morale e materiale della strage newyorchese.
Il 2 maggio 2011 il presidente degli Stati Uniti Barack Obama annuncia che Osama Bin Laden è stato ucciso da un commando americano in una località vicino ad Islamabad, dopo uno scontro a fuoco e che il corpo è stato recuperato dalle forze militari statunitensi.
Ma le fotografie divulgate in internet sono considerati frutto del photoshop. Non ci sono fotografie che attestano la sua morte se non quelle rocostruite e fantasiose.
Il successore di Bin Laden alla guida del gruppo terroristico viene indicato nella persona di Ayman Al-Zawahiri, fino a quel momento numero due del movimento.