Chi pensa che esista un solo tipo di grano, si sbaglia di grosso. Sempre più spesso, ultimamente, si sente infatti parlare di “grani antichi” e, come accade nella maggior parte dei casi, la necessità di fare una simile distinzione dipende da una situazione ormai degradata e da cui è difficile tornare indietro. Ma andiamo con ordine: un tempo tutti i grani erano antichi e non soltanto per questioni cronologiche. Lo scarto ha iniziato a evidenziarsi quando si sono apportate le prime modifiche genetiche su alcune varietà di grano, per accrescerne la produttività, con la somministrazione di concimi di sintesi. La conseguenza di questo tipo di azione è stata l’aumento nel chicco di frumento della percentuale di glutine, che è passata dal 10 al 18%, causando l’insorgere di moltissime intolleranze e allergie. Ma siccome non tutti i tipi di grano tollerano l’utilizzo di prodotti chimici, poco per volta si è cominciato ad abbandonare la coltivazione di quelle varietà che morivano a contatto con i concimi di sintesi, per quanto spesso fossero di qualità superiore e più resistenti alle malattie, per concentrarsi sulle specie più plasmabili. Queste ultime, tuttavia, dimostrarono presto una maggiore inclinazione ad ammalarsi e così negli anni settanta, per correre ai ripari, si provò a incrociare diverse varietà fra loro e, successivamente, si sottoposero le piante a mutazioni genetiche. Negli ultimi anni tuttavia, a causa dell’insorgere di intolleranze e allergie, come la celiachia, ci si è domandati quanto, in termini di salute, si debba pagare ancora la ricerca spasmodica di un’iper-produttività del grano e così si sta piano piano ritornando all’utilizzo dei cereali antichi, quelli che è ancora possibile isolare, visto che un buon numero purtroppo si è estinto. Sono sempre più frequenti in Italia le aziende biologiche e non solo che stanno recuperando la coltivazione di varietà come il Senatore Cappelli, il Grano Solina, il Grano Saragolla, il Farro Piccolo, il Farro Medio, la Spelta e il Kamut. Oltre a essere più saporite, si contraddistinguono anche per un contenuto proteico più elevato rispetto al frumento (oltre il 15% rispetto al 10-12%). Nati come prodotti di nicchia, le farine, il pane, la pasta e i dolci da cereali antichi, stanno via via prendendo piede anche in un’alimentazione più di massa, e sono sempre di più gli chef e i ristoranti che abbandonano le scelte canoniche per offrire ai propri clienti alternative più nutrienti e meno dannose. È vero: i prezzi sono senz’altro più elevati, anche perché la produttività è inferiore e la manodopera maggiore, però il richiamo che sta avendo sul mercato questo tipo di prodotti è un segnale incoraggiante di come ormai non sia più sufficiente “riempirsi”, ma ci si soffermi con attenzione su ciò che si sceglie, si cucina e si mangia.
Andrea Gori