Michelangelo, Perugino, Domenico Ghirlandaio, Botticelli, Pinturicchio… Sono tante le grandi personalità che hanno lavorato alla Cappella Sistina rendendola un prezioso scrigno d’arte, considerato un patrimonio del Rinascimento, uno degli edifici più visitati e apprezzati al mondo. L’edificio vanta numeri da capogiro: 5 milioni di visitatori, file interminabili di visitatori ogni giorno, con punte giornaliere di 20.000, e, quest’anno, 500 anni di vita. Costruita tra il 1475 e il 1481 per volere di papa Sisto IV della Rovere (Pecorile, 21 luglio 1414 – Roma, 12 agosto 1484), dal quale prese il nome, quale luogo di cerimonie ufficiali e sede di conclave. Nella soffitta della splendida Cappella Sistina, nella primavera del 1504, a causa della sua particolare natura del terreno che non dava sufficente stabilità all’edificio, si formò una crepa che costrinse alla sospensione di tutte le funzioni nella cappella in via precauzionale.
Il Papa Giulio II della Rovere (Albisola, 5 dicembre 1443 – Roma, 21 febbraio 1513) fece restaurare la volta con catene, rendendola di nuovo agibile. La lunga crepa venne chiusa con l’inserimento di nuovi mattoni, ma la decorazione era visibilmente danneggiata.
Fu così che, nell’aprile del 1506, Papa Giulio II ebbe l’idea di commissionare a Michelangelo Buonarroti (Caprese Michelangelo, 6 marzo 1475 – Roma, 18 febbraio 1564), come testimonia una lettera inviata allo stesso Michelangelo dal capomastro fiorentino Piero Rosselli, il quale lo aveva appreso dal papa stesso. Dopo un diverbio con il Papa, Michelangelo tornò a Roma nel 1508 e sottoscrisse il contratto; il lavoro venne completato entro il 31 ottobre 1512.
La struttura fu divisa pittoricamente in tre fasce: uno zoccolo con finti arazzi, una fascia centrale con scene tratte dal Vecchio e Nuovo Testamento, il registro alto con le rappresentazioni dei pontefici. Alla prima stagione decorativa, avviata attorno al 1481, lavorarono alcuni dei più importanti artisti contemporanei, quali Botticelli,
Domenico Ghirlandaio e Cosimo Rosselli (affiancati da Piero di Cosimo, Pinturicchio e Bartolomeo della Gatta), inviati a Roma da Lorenzo de’ Medici quali ambasciatori della prestigiosa arte e cultura fiorentina. Questi furono preceduti dal Perugino che si occupò dell’illustrazione della parete retrostante l’altare e della pala d’altare: a questi però, subentrò successivamente Luca Signorelli, che affrescò la parete d’ingresso con alcune scene della vita di Mosè. Le scene illustrate dal prestigioso gruppo di artisti, toccando episodi della vita di Mosè e della vita di Gesù, erano volte a sottolineare l’accordo tra Antico e Nuovo Testamento, secondo il programma iconografico voluto e studiato dal pontefice stesso. Una seconda campagna di lavori portò alla collaborazione di Michelangelo, il quale fu chiamato ad illustrare la volta, la cui decorazione precedente (a cielo stellato, di tradizione medievale) era stata notevolmente danneggiata da alcune crepe. Con l’aiuto di particolari impalcature a gradoni, Michelangelo iniziò i lavori nel 1508, con l’incarico iniziale di raffigurare i dodici Apostoli: in realtà i lavori furono successivamente estesi, con la rappresentazione delle nove scene della Genesi (Ebbrezza di Noè, Diluvio Universale, Sacrificio di Noè, Peccato originale e cacciata dal Paradiso Terrestre, Creazione di Eva, Creazione di Adamo, Separazione della terra dalla acque, Creazione degli astri, Separazione della luce dalle ombre) i celebri Ignudi (con medaglioni raffiguranti scene del Libro dei Re), gli Antenati di Cristo (nelle vele e lunette), Sibille e Profeti, e gli Episodi di salvezza, nei quattro pennacchi angolari della volta.
Oltre all’accordo tra Antico e Nuovo Testamento, l’iconografia scelta volle sottolineare l’importanza della creazione divina, culminante nella stessa creazione dell’uomo, scena racchiusa nel tocco leggero delle mani tra Dio e Adamo. In quest’opera lo stile michelangiolesco si conferma possente: le figure sono grandiose, monumentali, gli ignudi paiono vibranti di forza ed energia, mossi quasi da un’inquietudine interiore che li agita, in un’infinita varietà di pose ed espressioni. Sotto il papato di Leone X, la Cappella venne arricchita di una serie di arazzi con le Storie di Pietro e Paolo, disegnati da Raffaello alla fine del 1514. Nuovi danni alla struttura si registrarono negli anni seguenti, rendendo necessari importanti interventi di consolidamento dell’edificio. Nel 1535 papa Clemente VII volle ulteriormente arricchire la Cappella, commissionando a Michelangelo il noto Giudizio Universale iniziato in precedenza.
I lavori presero il via nel 1535, per terminare nel 1541: il risultato fu un’opera monumentale, notevolmente criticata dal cardinal Carafa per l’immoralità delle figure, dipinte nude e, in alcuni casi, in atteggiamenti ambigui. Alla morte dell’artista, fu incaricato un artista, Daniele da Volterra (non a caso poi soprannominato “Barghettone”), di coprire le intimità dei personaggi con panneggi e “braghe”, ponendo così rimedio all’oscenità. Nel grande affresco, Michelangelo rappresentò centralmente Cristo, in atto di separare i beati dai dannati, insieme alla Vergine, entrambi circondati da angeli e dalle schiere di personaggi, per un totale di oltre quattrocento figure. Prevale un deciso dinamismo che, sotto forma di turbinio, sembra muovere e sconvolgere le anime in attesa di giudizio: è una trascrizione tormentata, segnata dalla religiosità travagliata dell’ultimo Michelangelo. Nonostante i numerosi restauri e gli attuali monitoraggi, oggi la Cappella risulta costantemente a rischio conservativo, non solo per il carico di cinque secoli di storia, ma soprattutto per lo “stress ambientale” alla quale è sottoposta, a causa dell’altissima affluenza di visitatori che inevitabilmente variano la situazione interna portando polveri, umidità e innalzando la temperatura. Nonostante tali difficoltà, questi 500 anni valgono la pena per una visita ad un vero e proprio tesoro dell’arte rinascimentale, uno scrigno della pittura più raffinata e apprezzata dell’epoca….perché, come sostenne Goethe, “senza aver visto la Cappella Sistina non è possibile formare un’idea apprezzabile di cosa un uomo sia in grado di ottenere”.
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Federica Gennari