La pittura romana

I maggiori esempi di pittura romana ci vengono dagli affreschi della zona vesuviana (Pompei ed Ercolano), dalle tavolette egiziane del Fayoum e da modelli romani, alcuni derivati dall’epoca paleocristiana (pitture delle catacombe).
Abbiamo testimonianze delle pittura romana in tre tecniche:
la pittura parietale: realizzata a fresco, su calce fresca, e dunque più durevole; i colori venivano mescolati all’uovo o alla cera per favorirne la presa;
la pittura su legno o su tavola: a causa della natura del supporto, sono rari gli esempi pervenuti. Una celebre eccezione deriva dalle tavolette funebri del Fayoum (Egitto), fortunosamente conservatesi grazie alla particolare situazione ambientale-climatica;
la pittura compendiaria, applicata ad oggetti, a scopo decorativo. Solitamente si caratterizza per i tratti sommari e veloci.

La pittura era già praticata dagli etruschi (pitture tombali), ma solo alla prima metà del V secolo a.C. risalgono le più antiche testimonianze di attività pittorica a Roma: in particolare, si ricorda la figura del celebre Fabius Pictor (fine IV secolo a.C.), decoratore del Tempio della Salus.
Si ipotizza che in questa fase più antica, la pittura romana presentasse già la peculiare propensione al carattere celebrativo dei secoli successivi (es. le pitture trionfali, celebranti vittorie 
militari), reso attraverso una narrazione fluida e chiara, come per i contemporanei bassorilievi scultorei.
Molto celebre è la cosiddetta pittura pompeiana, così chiamata in riferimento alle pitture rinvenute a Pompei, Ercolano ed altri paesi toccati dall’eruzione del Vesuvio (79 d.C.). Questa si divide in quattro stili distinti:
– Il primo stile (III-II secolo a.C) è detto anche “ad incrostazione” e solitamente fa uso di cornici in stucco a rilievo, finti pannelli marmorei dipinti e uno zoccolo sottostante.
– Il secondo stile (II-I secolo a.C) è detto anche “architettonico” poiché presenta architetture dipinte ad effetto illusionistico: si diffonde così il trompe-l’oeil architettonico con finti colonnati, giardini e vedute prospettiche. Un esempio di II stile è riscontrabile nella Villa dei Misteri di Pompei dove, su fondo rosso omogeneo, si svolge una sequenza di scene forse attribuibili a una cerimonia nuziale o ad un rituale pagano.

I toni risultano alquanto scuri, come nel caso della Villa di Boscoreale.

Nella Casa di Livia (Roma) è riscontrabile invece un fregio giallo arricchito da scorci paesaggistici, animali e festoni appesi.

In particolare, la rappresentazione illusionistica di ampi e rigogliosi giardini è derivata dall’ambiente alessandrino.
Il terzo stile fu pressoché contemporaneo al secondo e si diffuse fino al 50 d.C. circa. Detto anche “stile ornamentale”, sostituisce alle architetture precedenti finti tendaggi monocromi sopra i quali si aprono pannelli illustrati (Villa Imperiale, Pompei, Casa della Farnesina).

Il quarto stile fu il più fastoso, abbinando le architetture fantastiche ed illusionistiche del secondo stile, finti pannelli marmorei ed elementi ornamentali del terzo stile (Casa dei Vettii a Pompei, Casa dei Dioscuri). Si trovano in questo periodo maestosi esempi di architetture dall’effetto teatrale e scenografico che però rielaborano e combinano tra loro elementi attinti dagli stili precedenti.

Molte ville pompeiane furono decorate con questo stile a partire dalla ricostruzione dopo il terremoto del 62 d.C.: un esempio tra questi è la Casa dei Vettii, decorata con scene di vita quotidiana (es. Lotta tra galli) e, soprattutto, scene a soggetto mitologico.
Era uso comune, da parte della nobiltà, fare decorare le pareti delle proprie ville e abitazioni private ed è per questo che la maggior parte delle testimonianze pittoriche pervenuteci derivano da questo contesto.
Importantissimo per la pittura romana fu l’influsso greco, derivato dalla conoscenza delle sculture e delle pitture greche, ma soprattutto dalla diffusione di pittori greci a Roma. Dall’ambito ellenistico la pittura romana non solo ereditò i temi decorativi ma anche la naturalezza e il realismo rappresentativo.
Accanto alle pitture romane e campane, si collocano i celebri Ritratti del Fayoum (I sec. a.C. – III sec. d.C.) 
tratta di una serie di tavolette egiziane assimilabili ai ritratti che venivano posti sul defunto durante la sepoltura. I soggetti venivano ritratti in vita, con un forte realismo dei volti, rappresentati frontalmente e spesso su fondo neutro. Caratteristica di queste tavolette è un’eccezionale vivacità pittorica. In questa produzione si riscontrano caratteri ricorrenti che ebbero diffusione anche a Roma: i grandi occhi, lo sguardo fisso e la semplificazione volumetrica (annullamento dei piani e corposità del contorno) si rilevano anche in alcuni ritratti romani di età severiana e appena successiva.
Classificabili come primo esempio di pitture bibliche sono le pitture di Doura Europos (Siria), risalenti alla prima metà del III secolo. L’invenzione della nuova iconografia cristiana si dimostra qui in gran parte influenzata dalla tradizione iconografica ellenistico-ebraica: le prime illustrazioni cristiane attingono, infatti, elementi e iconografie dal repertorio ebraico e pagano, caricandole del nuovo significato religioso.
Date le strette affinità iconografiche e stilistiche, si pensa che gli artisti lavorassero contemporaneamente sia per per la committenza pagana che cristiana.
Il realismo che aveva sempre caratterizzato la pittura romana va lentamente a perdersi nella tarda antichità quando, alla diffusione dell’arte provinciale, le forme iniziano a semplificarsi e spesso a simbolizzarsi.
È l’avvento della pittura paleocristiana, conosciuta anzitutto attraverso le pitture delle catacombe che abbinano scene bibliche, decorazioni, figure di contesto ancora pagano e un ricco repertorio di simboli alludenti a figure e contenuti cristiani (ad esempio, il pesce, il Buon Pastore…). I più celebri esempi derivano dalle Catacombe di Priscilla, Callisto e SS. Pietro e Marcellino (Roma).

Federica Gennari