Ci sono artisti che non possono essere giudicati. Essi non appartengono alla storia, sono essi stessi storia. Marc Chagall (Vitebsk, 7 luglio 1887 – Saint-paul-de-vence, 28 marzo 1985) è uno di questi. Ha vissuto gli stessi sconvolgimenti che Picasso ha osservato con occhi turbati, e che Mondrian, nella sua utopia della ragione, ha ignorato. Futurismo, Cubismo, Surrealismo, Metafisica e Cavaliere Azzurro, Realismo e Astrattismo, Informale e Pop Art: tutto ciò è avvenuto davanti agli occhi di Chagall, gli è passato accanto senza che egli se ne curasse, senza lasciare in lui la minima traccia. Chagall è ancora nostro contemporaneo, come se non fosse trascorso un giorno da quel lontano 1910, quando arrivò da Vitebsk in una Parigi ricca dei fermenti poetici, pittorici e teatrali di Léger, Braque, Matisse, Apollinaire e Cendrars. Per Chagall, tuttavia, Parigi non fu un mito irraggiungibile. Egli attribuì dignità estetica al solo vero mito: la vita contadina, con il villaggio, la neve e gli animali, sempre presente, mai abbandonata, mai dimenticata. Andò a Parigi per dipingere gli animali, le persone e le cose del suo villaggio; dovette abbandonare il proprio paese per poterlo trasferire nella dimensione del sogno. Come esule egli non vedeva; ricordava, reagendo alla nostalgia dell’infanzia piuttosto che alla seduzione della novità. E dopo aver visto abbastanza dentro di sé, tornò in Russia. Se a Parigi aveva “sognato” il Cubismo, trasformandolo in una visione lirica di chiese, mucche rosse, contadine con la testa per aria, come nel primo capolavoro Alla Russia, agli asini e agli altri, o annullandolo in una pastorale, come ne Il mercante di bestiame, ritornato a Vitebsk, riprende a vedere ordinatamente, malinconicamente e realisticamente, il suo popolo di poveri dignitosi ebrei. Ma anche per lui la felicità è meglio sognarla che viverla, e dunque ritorna a Parigi, con un “po’ di terra russa attaccata alle suole”. Ecco, allora, Gli acrobati, I fidanzati, I cavalli rossi,ma anche, più tardi, la resistenza contro gli orrori delle guerre. Resistenza come persistenza del sogno che nulla può interrompere. Così, accompagna la guerra civile in Spagna con un grande dipinto come La Rivoluzione, epico e lirico insieme. Nel 1941 si trasferisce in America, farà ritorno in Francia intorno al 1948. Il centro della sua attività, adesso, non è più Parigi ma Saint-Paul-de-Vence. Con la lontananza, la memoria trasferisce nel mito anche Parigi, rivista con lo stesso cuore dell’infanzia e della giovinezza. Alcune opere, tra il 1950 e il 1965, appartengono a un momento più delicato e più riflessivo dell’artista, morto nel 1985 quasi centenario. Dipinti come questi sono liriche pure, emozioni, incanti sospesi. Essi non chiedono un critico; attendono d’incrociare uno sguardo complice, candidamente incantato. Per noi l’infanzia è terminata, per Chagall fu senza fine.
Vittorio Sgarbi