Un tempo la pittura aiutava il pensiero. Il mestiere e la tecnica erano perfezionati strumenti delle idee. A partire dalle avanguardie, invece, il pensiero aiuta la pittura, anzi la sostituisce. L’opera fatta a regola d’arte diventa un ingombro. Meglio trovarla che farla. Inutile aggiungere immagini al mondo. Di qui il ready made di Duchamp, l’objet trouvé di Man Ray. Non diverso da loro, nonostante le apparenze, è René Magritte (Lessines, 21 novembre 1898 – Bruxelles, 15 agosto 1967). La sua pittura è un doppio inganno. Infatti, ha un’immediata semplicità che determina un’apparente facile comprensione. In realtà, Magritte non dipinge quello che si vede, ma traduce in immagine la parola, il divertimento verbale, con lo stesso spirito dei rebus. Non conta quello che si vede, ma quello che si pensa. In questo, Magritte è l’anti-pittore per eccellenza. Non gli importano gli effetti, la materia. La sua pittura è sempre nitida, scolastica, fotografica. Anzi, chiede la fotografia. Suprema invenzione. Respinge la propria condizione di feticcio e non soffre di essere riprodotto. Ecco perché vedere i quadri di Magritte è inutile, basta il catalogo. Se questo favorisce la comunicazione, non limitando, anzi amplificando il significato dell’opera di Magritte, non per questo riduce il calore della sua opera. Magritte è il più estremo, il più radicale esponente dell’avanguardia: tradisce la pittura con la pittura, traveste il divertimento, la dissacrazione di apparenze semplici, compostamente classiche. Ciò che gli interessa è il ribaltamento dei luoghi comuni. Nella realtà di Magritte, tutto appare tranquillo, ma l’ordine delle cose è sconvolto: la statua sanguina, la sagoma dell’uccello o del corpo è fatta di cielo e di nuvole, così come il quadro si confonde con la veduta reale. Tutto nella pittura è finzione. Questa coscienza distingue l’occhio di Magritte da ogni altro occhio: la pittura è un linguaggio autonomo, che siamo abituati a osservare come riproduzione della realtà. Se salta questo principio s’instaura una nuova legge. Magritte scrive: “In nessun caso l’immagine deve essere confusa con la cosa rappresentata; l’immagine pittorica di una fetta di pane con marmellata non è sicuramente né una fetta di pane vera, né una fetta di pane finta”. Così, nel modo più naturale, la pittura può far convivere le cose più assurde e più lontane, tentando di svelare il mistero della realtà. Magritte dice: “I miei quadri sono pensieri visibili”. La pittura, dunque, non riproduce ma dice.
Vittorio Sgarbi