Con Umberto Boccioni (Reggio Calabria, 19 ottobre 1882 – Chievo, 17 agosto 1916) abbiamo in pittura l’equivalente del Picasso cubista, attraverso un pittore che ha altrettanta energia e la esprime in invenzioni formidabili, fino a declinare, negli ultimi due anni, in una neofigurazione di cui la matrice neofuturista rimane come una memoria, ma si ricompone la grande forza della figura umana, nel Ritratto della madre per esempio, così come nelle sue opere prefutiriste si sentiva quest’urgenza di una pittura sociale, che è il punto da cui scaturisce quest’idea di una ricerca nella quale il contesto è determinante. Quindi La piazza, una delle opere emblematiche di Boccioni, La città che sale, in cui si vede un cantiere e contemporaneamente un cavallo, che è l’energia animale della natura: natura e storia che coesistono in un manifesto pittorico. L’esperienza di Boccioni è particolarmente originale perché s’incrocia con le prime aperture delle avanguardie dissacranti, con il Dadaismo, e l’uso di materiali perenti, di cartoni, in alcune sue sculture, come la grande scultura che rappresenta un eccezionale dinamismo di forme, in cui la figura dell’uomo sembra come impigliarsi nello spazio, farne parte, e farlo muovere, agitare, come in un mulinello in cui non c’è un punto di fuga come nella prospettiva, ma c’è un vortice dentro cui la forma si tornisce e si elabora. Sono dei modi di essere di un’arte che vuole rappresentare il movimento e la spinta in avanti della società industriale di cui il futurismo è il rispecchiamento, e l’opera di Boccioni è l’esempio più dinamico e più intelligente, anche rispetto ai mezzi che usa e all’utilizzazione di oggetti che sarebbero destinati a essere buttati via. Quindi non c’è una dimensione alta dei materiali, ma c’è una dimensione alta del pensiero che si può rivelare in qualunque materiale, dando forma anche a ciò che ne è privo, o a ciò che è povero e destinato a essere riciclato. Questa sua esperienza è uno degli aspetti, nella scultura, di una curiosità senza limiti, irrefrenabile, che lo fa essere, nella sua fase iniziale, la prima fase futurista, il controcanto italiano del Picasso cubista.
Vittorio Sgarbi