Platone nasce ad Atene, nel 428/9 AC, da una famiglia aristocratica e sembrava dover seguire le tradizioni degli avi nel suo impegno politico. Però qualcosa gli fece cambiare idea: l’allora governo cittadino chiese al suo maestro ed amico Socrate di collaborare e denunciare dei cospiratori e quest’ultimo si rifiutò.
Cosa accadde a Socrate è risaputo: gli piovvero addosso accuse di ogni genere e fu costretto a suicidarsi assumendo della cicuta.
Il governo della polis secondo Platone
Da allora Platone arrivò alla conclusione che qualsiasi sistema politico, democratico o aristocratico che fosse, era negativo per sviluppare la virtù. Oggi diremmo che non si sentiva convinto né dalla destra né dalla sinistra. E cosa proponeva? Riforme radicali che, guardando ai nostri tempi, lo fanno figurare come un precursore. Tra il 390 ed il 360 AC scrisse “Repubblica” nella quale prefigura la necessità di un governo tecnico ante litteram.
Nello specifico Platone asseriva che il governo di una città doveva essere messo nelle mani dei filosofi (i tecnici di allora). Per quale motivo? Semplice.
I filosofi, che pure erano uomini, conoscevano i piaceri della materia ed il desiderio di gloria, ma non ne erano attratti e, per ottenere queste cose, non si sarebbero mai impegnati più di tanto A questa categoria di persone interessavano i beni dello spirito, ovvero la coltivazione della virtù (l’idea suprema): un campo questo sul quale, Platone ne era sicuro, non vi sarebbe stata troppa competizione.
Dunque i filosofi/tecnici erano i più adatti a governare perché poco attratti dai beni e dalla gloria. Platone si rivela attuale però anche per un altro motivo: la questione delle “spese della politica”. Nel testo “Repubblica”, infatti, configura un sistema di governo nel quale i vertici dovrebbero essere mantenuti a spese della comunità con una retribuzione regolare calibrata sulla base dei loro impegni: non dovevano possedere terre né altri beni. Questo almeno sino a che avevano responsabilità di governo (qualcuno, oggi, parlerebbe di misure per evitare il conflitto di interessi).
Il ruolo della donna nella società di Platone
Interessante, nel pensiero platonico, è anche il ruolo delle donne: le donne, sempre in “Repubblica”, vengono liberate del loro compito tradizionale di essere madri e mogli. Potevano addestrarsi come gli uomini (sia fisicamente che nello studio/paideia). La riproduzione veniva affidata, nel suo pensiero ideale, ad incroci “eugenetici” tra i migliori uomini destinati al governo della polis e le migliori donne. I figli di questa progenie “eletta” venivano, poi, affidati ad asili pubblici. Si sperava, in questo modo, che non vi fossero più conflitti derivanti da questioni di onore e di sangue: essendo i nuovi cittadini “figli della polis”, ne conseguiva che non ci sarebbero stati più odi, né invidie di parte.
Cosa pensava Platone dei retori?
Non era solo contro gli interessi privati, i luoghi comuni e le antipatie di quartiere che Platone si schierava col suo pensiero ideale. L’illustre filosofo ne aveva anche per i retori con un atteggiamento che, a posteriori, in molti hanno definito snob ed aristocratico: ne “Il Gorgia” (scritto dopo la morte di Pericle), Platone diceva che i retori erano come dei cuochi. Come i cuochi, infatti, rendevano piacevoli le pietanze presentando bene tutta una serie di ingredienti, allo stesso modo i retori rendevano i discorsi belli ed accattivanti. A parte questo, i retori (che erano un po’gli avvocati e un po’ gli spin doctor dell’antica Atene), non erano in grado di comprendere veramente la bontà etica di ciò che presentavano.