La messa in piega. Curvare e piegare, in moto, sono due sinonimi. Più curvi forte e più devi piegare la moto per riuscire ad effettuare quella data traiettoria. Dove questo elemento è portato all’eccesso, da sempre, sono le gare di GP. Pieghe al limite, le chiamiamo, ma veramente le abbiamo sempre chiamate così, solo che il “limite” di oggi è un qualcosa di neanche immaginabile solo dieci o quindici anni fa. Guardate la foto, anno 1990, del funambolo texano Kevin Schwantz nella 500 GP: è piegatissimo, col busto eretto come si usava una volta, ma è oltre il limite delle gomme, come si vede dalla riga nera. Sta per scivolare ma, oggi, una piega così sarebbe nei limiti di sicurezza. Merito degli pneumatici che hanno migliorato le rigidezze delle carcasse per consentire al battistrada di flettere per lasciare quella superficie minima sull’asfalto all’aumentare dell’angolo di piega. Poi ci sono le mescole, sempre più performanti, anche se, contrariamente a quanto si possa pensare, non per questo più morbide. Una gomma che “attacca”, ovvero che offre tanto grip, è sì una gomma soft, ma questo non è poi così vero sulle moderne MotoGP. Le potenze ben superiori ai 250 CV, per di più sfruttate a livelli superiori a quanto sarebbe umanamente possibile grazie a sistemi elettronici sempre più sofisticati, hanno costretto i costruttori (Bridgestone, nel caso specifico) a creare pneumatici molto duri nella mescola, altrimenti non si riuscirebbe a finire le gare. Il grip lo si trova comunque, a patto di riuscire a mandare in temperatura la gomma e a mantenerla elevata. Vedere il limite a cui sono arrivate le moto di oggi lascia di stucco.
Ormai la classica saponetta, o slider, sul ginocchio serve come riferimento del livello della piega solo sul bagnato, perché su asciutto si arriva anche a toccare il gomito in terra. Dipende molto dalla postura in sella del pilota, perché chi guida come si faceva fino a poco tempo fa, Valentino compreso, porta busto e sedere verso centro curva, ma non anche tutte le spalle come invece fanno i nuovi fenomeni. Basta guardare Stoner, che butta quasi più giù le spalle del fondo schiena, al fine di avere un baricentro più interno e quindi ridurre, anche solo di qualche decimo di grado, l’inclinazione della moto. Solo che guidare al limite significa fare la tal curva al massimo possibile senza cadere, per cui anche Stoner piega come Valentino ma, portando tutto il corpo all’interno, il risultato è che riesce a curvare più forte. Non è certo questa la spiegazione del perché Valentino Rossi non sia andato forte con la Ducati, anzi. Si tratta solo di diversi stili di guida, entrambi efficaci. Basti pensare al Campione del Mondo MotoGP 2012 Jorge Lorenzo, che non estremizza i movimenti come il rivale Stoner, ma non per questo è meno veloce in curva. Certo è, che il limite di piega e lo stile di Casey impressionano in foto e nei super slow motion che vediamo in TV: gomito sul cordolo, moto sdraiata oltre i 60-65° dalla verticale, gas puntato, pronto a esplodere. La fase successiva è quella di uscita di curva: si rialza la moto di colpo, continuando a curvare grazie alle spalle e al busto completamente abbassato a interno curva. Il maestro, in questa fase della guida, è Dany Pedrosa, che riesce meglio degli altri a raddrizzare al volo la moto quel tanto che basta per poter spalancare il gas. L’elettronica sopraffina del controllo di trazione, che lascia comunque scivolare un po’ la gomma per creare il sovrasterzo necessario a chiudere la curva, e il controllo del pilota in derapata fanno il resto… Chapeau!
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Francesca Gasperi